19/12/08

sulla questione morale

La corruzione costituisce sempre all’interno di tutte le “realtà associate” un problema dal quale sapersi ben difendere.
Il primo grande strumento di difesa è costituito dalla “non indispensabilità” di ciascuno di noi.
Mi spiego meglio con alcuni esempi che fanno riferimento alle realtà che oggi ci toccano.
Qualcuno ritiene forse che la Iervolino sia “colpevole” di qualcosa? Credo assolutamente di no. Non per questo la Iervolino appare la “unica e sola” persona che può reggere le sorti della città di Napoli. Altrettanto potrebbe dirsi per Bassolino che certamente è stato in un certo momento una persona molto importante per la città di Napoli e per la Campania (ma non tanto importante da dover coinvolgere nella vicenda politica anche la sua consorte…..da che mondo è mondo si è sempre detto che non è possibile che in famiglia siano più d’uno a gestire la cosa pubblica). Ma siamo così sicuri che oggi solo Bassolino può affrontare le vicende della Campania? Guai se così fosse.
Solo ai dittatori e ai monarchi è permesso (sarebbe meglio dire che se lo permettono da soli e con la forza) di pensare di essere unici e indispensabili.
Ecco quello che manca ai nostri politici: si sentono troppo spesso unici e indispensabili senza che ciò sia mai vero per nessuno e più invecchiano e più sono convinti di ciò (fossero molto giovani si potrebbe forse almeno comprendere il loro timore di interrompere un “percorso”).
Ma possibile che in questo nostro benedetto Paese non si possa pensare che l’impegno politico “il lavoro per la cosa pubblica” non possa essere a tempo? E che dopo un’esperienza politica ci si possa anche occupare d’altro?
E dire che i compensi che vengono riconosciuti per l’impegno politico sono tali che certamente i nostri politici quando si “pensionassero” avrebbero certamente di che vivere comunque.
Immaginiamo per un attimo che finalmente anche nel nostro paese un politico quando coinvolto direttamente o indirettamente in fatti “di corruzione” si faccia spontaneamente da parte per tutto il tempo necessario perché si faccia chiarezza (certo le lentezze della magistratura non aiutano un tal pensiero e forse sarebbe proprio questa la prima grande riforma da fare). Sono sicuro che se ciò avvenisse ci sarebbe poi tutto il tempo per il politico che avesse davvero grandi capacità per “riabilitarsi” e tornare sulla scena.
Cassius Clay dopo aver scontato una pena carceraria è tornato a vincere come pugile ai più alti livelli e voglio semplicemente dire che chi ha forti capacità e tenacia riesce comunque a tornare a primeggiare.
Ecco sono sicuro che un tal codice morale dovrebbe essere scritto nello statuto di qualsivoglia partito e organizzazione politica: ogni volta che si è in qualche modo coinvolti in fatti”criminosi”, ogni volta che viene meno il prestigio, indispensabile per chi si occupa della cosa pubblica, ci si dovrebbe far da parte al di là di ciò che la magistratura faccia.
Perché come ha molto ben detto l’onorevole Violante guai se dovessero essere i magistrati ad interrompere o a sospendere le carriere politiche.
Signori della politica non è disdicevole fare un passo in dietro anzi spesso facendo ciò si restituisce molta più onorabilità al ruolo che si svolge e a se stessi.

26/09/08

Alitalia ultimo atto? Per ora solo l’ultimo bluff della politica italiana

Alitalia ultimo atto? Per il momento l’ultimo bluff della politica italiana
Si è così tanto, e in tanti modi, parlato della vicenda Alitalia che vien voglia di non parlarne. Per comprendere il senso dell’affermazione basta tenere a mente quello che di Alitalia si è detto ieri sera nelle trasmissioni televisive su rai due ad Anno Zero e su rai uno a Porta a Porta.
Se qualcuno ha fatto lo sforzo di seguire i due programmi ha avuto la netta sensazione di quanta, forse troppa, distanza c’è tra le due realtà che sono state evidenziate.
Da una parte si è parlato dell’infinito imbroglio Alitalia gestito dal mondo politico italiano per almeno gli ultimi dieci-quindici anni sino ad oggi mentre dall’altra c’è stata la gara a dare una paternità all’ottimo artefice della operazione di “salvataggio” di (quel che resta di) Alitalia da parte di Cai e dei suoi “capitani coraggiosi”. E’ stato più Veltroni o Berlusconi (forse davvero Veltrusconi o Berlutroni come direbbe Grillo) a far sì che si giungesse al fatidico accordo con pace di tutti gli italiani? Si perché i cittadini vanno rassicurati e non puoi mica raccontargli che dopo lo smembramento di Alitalia operato dal governo Berlusconi l’affare Cai costerà a tutti i cittadini qualche (tra quatto e cinque) miliardo di euro in più da pagare? E mica puoi dirgli che probabilmente l’affare Cai non permetterà mai alla compagnia di bandiera di essere tale e solo quando sarà in mani straniere (semmai vi arriverà) potrà accadere che la nuova compagnia riesca a decollare davvero?
No, l’onorevole Veltroni che sà cosa è bene e male per i cittadini si è precipitato da Nuova York in Italia per districare la matassa e c’è riuscito ed è da Vespa per farlo sapere a tutti gli italiani che così potranno dormire sonni tranquilli. Si è stato lui a parlare con Colannino per Cai e con Epifani per la CGIL e a convincerli, con i grandi argomenti della politica che solo lui possiede, a parlarsi di nuovo. Ma che bravo! E che scostumato è il cavaliere che non gli riconosce il merito. Non si preoccupi caro onorevole Veltroni. E’ di questa mattina la dichiarazione di quel “furbone” di Confalonieri che “ riconosce il merito di aver partecipato all’onorevole Veltroni ma chiarisce anche che il maggior merito resta comunque al Cavaliere che è il primo artefice di tutta l’operazione” e …come dargli torto? Contento onorevole Veltroni? La patria è salva, gli italiani forse un po’ meno.
I fatti prossimi futuri chiariranno purtroppo tra qualche tempo e quando sarà, sarà comunque troppo tardi, per noi comuni cittadini chi abbia ragione se Santoro e con lui Travaglio e in qualche modo Di Pietro o Fede e Veltroni.
Una cosa però và detta: sebbene tutti ormai sostengano (e non potrebbero fare diversamente perché i fatti lo dicono a chiare lettere) che la soluzione Air France fosse migliore della soluzione Cai, nessuno – ha fatto eccezzione il giornalista del Sole 24 Ore Dragoni che lo ha brevemente, per il poco spazio che gli si è dato, denunciato – ha chiarito il perché la soluzione Air France non sia stata percorsa. Non lo hanno chiarito i sindacati sia quelli autonomi dei piloti sia quelli confederali, non lo ha chiarito Epifani nella sua “storica” (perché non lo si vede praticamente mai in televisione cosa che di questi tempi non dispiace) apparizione in Tv, non lo ha fatto Veltroni pur sapendo che comunque era ancora il governo Prodi a governare il paese quando l’affare Air France è stato buttato a mare. L’unico responsabile certo (ma certamente non il solo) e che non deve chiarire nulla è, come al solito, Berlusconi.
Si perché il Cavaliere buttandola “sulla bufala dell’italianità” (cui tanti italiani hanno creduto) ha strumentalmente usato la vicenda per fini elettorali inchiodando il governo di centro sinistra morente ad un’ultima incapacità (tra le tante) governativa e se lo ha fatto come in realtà ha fatto non gli si può dar colpa perché in fondo è normale che il capo di un partito d’opposizione che vuole vincere le elezioni usi, per raggiungere l’obiettivo, tutti i mezzi o almeno questo pensano la maggior parte degli italiani: per governare bisogna sporcarsi le mani e Berlusconi si sa è sempre pronto a farlo.

19/08/08

Il federalismo (atto primo)

L’imposizione di nuove tasse locali per risolvere i problemi di bilancio delle Regioni e dei Comuni “poco virtuosi” a qualcuno sembra un sufficiente spauracchio? Ma siamo poi così sicuri che i nostri “bravi” ( si fa per dire ) amministratori avranno “tanto timore” nel far ciò? Ma a qualcuno non viene per caso in mente che già in più occasioni Regioni e i Comuni si sono dimostrate molto sollecite nel richiedere tasse aggiuntive ai cittadini (tanto le pagano quei “cretini dei cittadini”)? Ma qualcuno ricorda per caso le addizionali sul gas e sulla benzina oltre a quelle sull’Irpef tanto per citare alcune tra le tasse “individuali” che tanti comuni e regioni ci propinano?
E dove è finito il “furore anticasta” che sembrava aver percorso il PDL (del PD non dico solo per pudore) per cui si era parlato della abolizione della maggior parte delle Comunità montane, delle Provincie (addirittura già si parla di istituirne di nuove), degli Enti inutili (ancora non riescono a mettersi d’accordo su quali e quanti sono ma nel frattempo ne crescono di nuovi) e dei loro inutili e costosi presidenti e commissari?
E che dire delle “troppo laute” retribuzioni dei nostri “parlamentari” e degli scandalosi stipendi di tanti “Manager (si fa ancora per dire) pubblici (scandalosi soprattutto perché questi grandi Manager riescono solo ad indebitare ulteriormente le realtà che gestiscono) per i quali a gran voce sembrava si fosse chiesto un ridimensionamento? Non se ne parla nemmeno più.
In un tal clima, a parlare di Federalismo fiscale viene quanto meno da sorridere.
Certo sappiamo tutti che i cittadini del Veneto, della Lombardia, del Piemonte e….. sono quelli che “pagano più tasse” (sono anche i “più ricchi” non dimentichiamolo) così come sappiamo che quelli della Campania, della Sicilia, della Calabria e…. non le pagano quasi affatto così come sappiamo che la Val D’Aosta, le Provincie di Trento e Bolzano, la Sicilia, il Molise, la Basilicata, San Marino e Campione d’Italia (che nome azzeccato) e… sono tra le realtà che ricevono maggiori fondi dallo Stato centrale; sappiamo insomma che in questo nostro strano Paese i cittadini non sono affatto uguali anche in base alla loro collocazione geografica oltre che per tante..altre cose.
E in un tal casino cosa hanno pensato di tanto importante i nostri magnifici politici?
Si sono subito precipitati a togliere tutte le norme che in qualche modo sembravano dare un qualche risultato sull’evasione fiscale cosicchè sarà finalmente chiaro a tutti (gli elettori s’intende) che le tasse in questo nostro Paese le pagano i dipendenti (pubblici o privati che siano non importa). Poi hanno pensato che è giunta l’ora di “liberare” le Regioni attraverso il Federalismo fiscale che (come dice Robin Hood “rubare ai ricchi per dare ai poveri” aggiungendo che “c’è bisogno che ci siano i ricchi e allora bisogna prima rubare ai poveri per dare e avere i ricchi e poi si vedrà”) costringerà i politici regionali ad essere “virtuosi” (le nostre care patrie galere sanno già quanto virtuosi siano tanti di questi politici) e per quelli che non lo saranno “c..zi” dei cittadini (e non dei politici perché altrimenti che politici sono!) che dovranno pagare le malefatte dei politici che hanno votato (anche quelli che quei politici non hanno votato).
Risultato: i cittadini dipendenti (pubblici e privati) pagheranno il conto per la “malapolitica” e poi quando non ce la faranno più a pagare (praticamente entro il prossimo anno) si farà uscire qualcosa dal “cilindro della politica” (tanto la tessera per i poveri è già in esperimento).
Ma qualcuno dei nostri “grandi” si è per caso accorto che questo nostro Paese vive oggi una profonda crisi economica? E si è accorto che in primo luogo appaiono indispensabili riforme che facciano sì che i cittadini di tutte le Regioni (anche quelle “speciali” e anche le Provincie “autonome” ché poi tanto autonome non sono e anche i Comuni “di frontiera” e san marino e il Vaticano) e di qualunque rango (dipendenti pubblici, privati, professionisti, commercianti, imprenditori che sembrano più “prenditori” che “im”….) paghino le “giuste” tasse e ancora che è indispensabile procedere ad una “vera” riforma del sistema delle autonomie locali (in questo nostro paese ci sono ad esempio tanti Comuni di alcune centinaia di abitanti) così come appare indispensabile procedere ad una altrettanto seria riforma della amministrazione pubblica che elimini tutti gli sprechi, i doppioni, le inefficienze e le clientele di destra e di sinistra (l’amministrazione pubblica è ormai un esercito di “dirigenti” che dirigono soprattutto sé stessi…verso un “lauto stipendio” ). Infine appare ormai improcrastinabile una altrettanto seria riforma della politica che elimini privilegi, sprechi, malaffare e che permetta ai cittadini di scegliere i loro rappresentanti e impegni questi ultimi a dare le migliori risposte ai problemi dei cittadini che li hanno eletti e che imponga al politico di rispondere delle sue azioni non solo attraverso il meccanismo del voto ma anche attraverso il rispetto di regole che devono essere rispettate da tutti i cittadini, politici compresi!

Dovremmo essere perciò uniti tutti nello sforzo comune di abbandonare i piccoli o grandi privilegi per “l’interesse comune” del Paese che potrà comportare in un prossimo futuro un interesse per noi tutti e soprattutto per i nostri figli. E invece? Ci ritroveremo a combattere ancora una guerra tra poveri che si attaccano ai loro piccoli e dispendiosi tornaconti e a pagare ancora una volta saranno i cittadini più normali, quelli non protetti dalla “mala politica” e dal “malaffare” e il conto potrà essere salatissimo.

Se ci andrà bene ci ritroveremo a pagare con gli interessi con e per il Federalismo quello che sembra si sia recuperato con questa “strana finanziaria di rigore” e il debito pubblico riprenderà a salire in attesa magari di un “futuro nuovo Prodi moralizzatore”. Altrimenti rischieremo davvero quella “bancarotta” di cui da tanto si parla (dai tempi della “balena bianca”) e che pensiamo sempre non arrivi mai per noi.

03/08/08

Amo l’Italia e volo Alitalia – Salva l’Italia

“Amo l’Italia e volo Alitalia e rialzati (Al)Italia” due frasi di un tale spessore…….
Ma perché qualcuno non spiega al Cavaliere che “i palloni (le bugie) volano” ma solo nell’immaginario dei bambini e lui non è più un bambino?
Forse il Cavaliere voleva dire “con Alitalia rialzo l’Italia”?

Dire “salva l’Italia” o “rialzati Italia” non mi pare un gran dire come slogan per il nostro misero Paese che non è per nulla “salvo” né “rialzato”.

Sembra proprio che l’unica cosa che si sappia fare nel PD (oltre quella di non dire mai chiaramente dove si voglia andare) è quella di rispondere al “Cavaliere” e per giunta con un frasario assai simile a quello da lui usato (tipico del “piazzista”).
Ma non sarebbe forse il caso che si cominci a dire in modo chiaro ed inequivocabile cosa non và del governo e cosa si vuol proporre in alternativa? Perché dobbiamo anche dire cosa vogliamo. Questo gran dire che “gli italiani non ce la fanno più…” mi sembra un po’ poco come poco è stato parlare del famoso “tesoretto” da restituire agli italiani.
E poi la discussione sulle riforme se parte così come sembra essere partita quella sulla riforma della legge elettorale per le europee siamo davvero alla frutta.
Intanto nel mio Abruzzo il PD si esercita nel tentativo di rinviare le elezioni?Ma siamo pazzi?
L’unico vero esercizio da fare è quello di cancellare il lungo elenco dei politici sin qui prodotti e riuscire a presentare una lista davvero fatta di tanti nuovi nomi della parte sana della società civile e cercare di individuare un possibile candidato “Governatore” che non abbia alcun legame con la classe politica sin qui prodotta. Altrimenti anche nel mio Abruzzo ci avvieremo verso una “sonora sconfitta” tanto sonora da somigliare alla debacle siciliana di cui la Finocchiaro ancora non si è accorta (qualcuno gli dica per favore quanto male ha fatto al suo partito).

L’infinita (ma sempre meno) storia Alitalia

Ma c’era bisogno di tanto tempo e di tanto rumore per produrre un risultato per Alitalia che persino un bambino avrebbe saputo produrre?
Se abbiamo due realtà imprenditoriali in debito cosa facciamo? Prendiamo la parte buona delle due attività e la mettiamo dentro un nuovo contenitore e così abbiamo una nuova azienda che non ha rami secchi, non ha debiti e potrebbe funzionare. Ma siamo sicuri che è proprio così?
Intanto non si capisce cosa faremo dei “rami secchi” ma soprattutto: chi pagherà i debiti delle due società (Air one e Alitalia sono entrambe molto indebitate)? Ancora una volta quel signor Pantalone di sempre?
E ancora: la nuova società che nascerà sarà per forza una piccola società. Innanzi tutto perché di buono in Air One e in Alitalia non c’è poi tanto e soprattutto perché i grandi imprenditori italiani della cordata di Berlusconi sono disposti a mettere in campo (con l’aiuto delle Banche e dietro chissà quali impegni governativi) circa 700/800 milioni di Euro praticamente pochi spiccioli. E siamo sicuri che una compagnia aerea così piccina potrà competere in un mercato sempre più aggressivo e in un periodo in cui il prezzo del carburante potrebbe da un momento all’altro volare alle stelle? O si ha in mente di fare una compagnia che poi successivamente entrerà a far parte di una compagnia europea di grosse dimensioni?
E forse qualcuno s’illude che non ci sarà comunque un prezzo da pagare?
Ormai l’unico vero interesse che le compagnie aeree hanno nei confronti del nostro Paese e quello di acquisirne il mercato passeggeri e quello merci e poter utilizzare al meglio la nostra rete di aeroporti (che non è poi tanto male). Una discreta quantità del mercato passeggeri è già in movimento verso le grandi compagnie europee e siamo così sicuri che basterà il geniale motto del cavaliere “amo l’Italia e volo Alitalia” per recuperare questa fetta del mercato passeggeri da far valere anche in una eventuale operazione con un partner europeo?
E se questa è una buona soluzione non la si poteva percorrere già anni fà quando il debito Alitalia era più contenuto?
Non sono un esperto del settore ma mi pare proprio che ancora una volta la montagna stia partorendo un topolino piccino, piccino, piccino…e che presto sarà ingoiato da nuovi debiti. Gli esempi purtroppo non ci mancano in questo nostro “bel Paese” che rischia di divenire sempre meno “bello”.
Tra un Governo Prodi che poteva e doveva vendere ad Air France e invece ha continuato sino all’ultimo giorno a tergiversare (perché attendere le elezioni? perché rifinanziare la compagnia di 300 milioni di euro? e ancora: perché non essere chiari con i sindacati? per qualche voto?) e un nuovo Primo Ministro un po’ “sbadato” ecco il gran risultato.
Tra un "rialzati Italia" e un "salva l'Italia" c'è davvero da cominciare a preoccuparsi.
Un sano o insano ottimismo non guasta mai ma è sempre più dura.....

25/07/08

Chi la fa l’aspetti?

Chi la fa l’aspetti?
Certamente “volgare e offensiva” la pubblicità di RYAN AIR ma a ben riflettere non sembra un pò volgare anche il gesto del nostro Ministro?
E comunque non vale il “chi la fa l’aspetti” ma la volgarità di entrambe resta .

[da Repubblica del 25 Luglio 2008: ( http://www.repubblica.it/2008/07/sezioni/cronaca/ryanair-protesta/ryanair-protesta/ryanair-protesta.html )
Ryanair, uno spot contro il governo. Castelli minaccia la compagnia. Il sottosegretario ai Trasporti chiede scuse immediate, e ipotizza ritorsioni. Il ministro Matteoli: "Messaggio talmente volgare che le scuse non sarebbero sufficienti"

ROMA - Bossi e il suo ormai famoso "dito medio" usati per una pubblicità su Ryanair. Aprendo il sito della compagnia low cost irlandese si vede infatti subito nella home page una fotografia del senatur, ripresa domenica scorsa durante un comizio in Veneto. Il gestaccio del leader della Lega Nord aveva come obiettivo l'inno nazionale. Da Ryanair è stato usato per attaccare il governo italiano e presentare una nuova campagna pubblicitaria, che prevede l'offerta di biglietti a 10 euro.
"Il ministro Bossi ai passeggeri italiani", è il titolo che sovrasta la fotografia del senatur. "Il governo... - si legge ancora sulla pubblicità telematica - supporta le alte tariffe di Alitalia, supporta i frequenti scioperi di Alitalia, se ne frega dei passeggeri italiani".
La Lega, subito, insorge. Tanto che il capogruppo a Strasburgo della Lega Nord Mario Borghezio ha scritto un'interrogazione urgente alla Commissione Europea. Mentre il sottosegretario al ministero Infrastrutture e Trasporti Roberto Castelli ha annunciato che verificherà "se questa sorprendente presa di posizione sia compatibile con l'attività di operatore della compagnia negli aeroporti italiani". Ryanair, secondo Castelli, si comporta "più come un partito politico che come un'azienda".
Una pubblicità sorprendente e offensiva, ha dichiarato ancora Castelli: "Mi auguro che arrivino immediatamente le scuse dei dirigenti, in ogni caso certamente io non mi avvarrò dei servizi di Ryanair".
Anche per il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Altero Matteoli "La pubblicità della Ryanair è volgare ed offensiva". "La compagnia aerea che opera anche nei nostri aeroporti e nei nostri cieli - ha detto Matteoli - dovrebbe chiedere scusa oltre che al ministro Bossi anche agli italiani, ma la volgarità del messaggio divulgato è talmente pesante che neppure le scuse sarebbero sufficienti".
Parte della responsabilità è però dello stesso Bossi, osserva Silvana Mura, deputata di Idv: "Chi di dito medio ferisce di dito medio perisce, verrebbe da dire ai leghisti che ora si scandalizzano per la trovata pubblicitaria di Ryanair, peccato che a farne le spese sia l'immagine dell'Italia. Quanto sta accadendo è in primo luogo colpa del Presidente del Consiglio e della sua maggioranza che hanno considerato poco più che una fanfaronata il fatto che un ministro insultasse l'inno d'Italia, con il risultato che l'Italia è diventata lo zimbello internazionale".
(25 luglio 2008) ]

E morto Randy Pausch

Apprendo dal Corriere della Sera con il seguente articolo
( http://www.corriere.it/cronache/08_luglio_25/morto_randy_pausch_ultima_lezione_259a20cc-5a56-11dd-bcb1-00144f02aabc.shtml )
“È morto Randy Pausch, commosse il mondo con la sua «Ultima lezione» Docente alla Carnegie Mellon University di Pittsburgh, era malato di cancro. A settembre l'addio ai suoi studenti
WASHINGTON - Nella sua «Ultima lezione» Il professor Randy Pausch, che insegnava scienze informatiche alla Carnegie Mellon University di Pittsburgh, ha detto di non voler essere compatito e di non voler parlare della morte, ma della vita. Lui, 47 anni e tre bambini, è morto per un tumore al pancreas, che nonostante le cure ha invaso il suo organismo in modo irreparabile. L'ultima lezione ai suoi studenti, tenuta a settembre, è stata registrata e - messa in Rete - ha avuto un successo strepitoso (guarda una sintesi sottotitolata in italiano). Pausch parla dei sogni di quando era bambino, dell'importanza di sognare e della possibilità di realizzare i propri desideri.
INNO ALLA VITA - Una lezione di vita - e non soltanto della sua disciplina -, un saluto profondo che ha commosso non solo gli allievi della Carnegie Mellon ma tutto il mondo. E che è diventato un libro, intitolato appunto «L'ultima lezione», edito in Italia da Rizzoli, in cui i temi della lection vengono sviluppati e approfonditi. «Ho un problema di sistema - aveva annunciato il docente, cominciando la lezione di fronte a 400 studenti. Benché abbia sempre goduto di forma fisica strepitosa, ho ben dieci metastasi al fegato e mi restano solo pochi mesi di vita». L'incontro finale tra il docente e i suoi studenti, tra ironia e riflessioni profonde, si era trasformato in un commosso inno alla vita. 25 luglio 2008”
la morte del professor Pausch. La sua “ultima lezione” mi aveva davvero colpito.
Sono sicuro che il suo messaggio di vita e di gioia “comunque” in un mondo che appare sempre più “brutto” sia utile strumento per i giovani. Invito gli internauti a divulgarlo.
Pidario
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24/07/08

E le tariffe?

E le tariffe?

Tutti fanno un gran parlare della crisi e dell’aumento dei prezzi ma a nessuno che venga in mente di porre un freno alle tariffe o almeno a quelle che il governo può in qualche modo controllare quali:

1) le tariffe del treno e in generale dei mezzi pubblici

2) le tariffe dei servizi quali acqua, luce, gas, immondizia

E ancora:

1) l’addizionale comunale

2) l’addizionale regionale

E perchè no anche:

1) il prezzo del carburante per veicoli

2) la riduzione del costo o l’abolizione di tanti bolli per pratiche le più varie (patente, passaporto tanto per fare alcuni esempi)

Se questo fosse uno Stato che tiene ai suoi cittadini e se altrettanto tenessero ai propri cittadini gli enti territoriali questa innanzi esposta sarebbe una via obbligata e si tratterebbe di discutere come e in che modo.

In un tal contesto si potrebbero sì comprendere i tagli di spesa per riassestare il bilancio dello Stato.

Tagli che non potrebbero non comprendere i fantasmagorici “costi della politica” (costo dei parlamentari e soprattutto delle loro assurde liquidazioni e pensioni, costo del personale della Camera e del Senato e costi generali, costo dei politici nelle amministrazioni locali, dei giornali di partito, dei partiti ecc.ecc.) e magari ci si attenderebbe senza ira alcuna dall’altra di pagare di più alcuni servizi “speciali” quali le prestazioni sanitarie “diciamo occasionali” (quelle che un cittadino che è in presunta buona salute svolge una tantum in alcune circostanze) che nel nostro paese sono decisamente esagerate….

Certo Gian Antonio Stella giornalista amico dei cittadini ci informa che “purtroppo” anche quest’anno non sarà possibile ridurre le spese del Senato nemmeno di “quell’inezia” che si era già da un pò deciso (5 o 6 milioni di euro non ricordo bene e di inezia si tratta) e che anzi i costi lieviteranno e anche un po’ più dell’inflazione programmata (quella per i cittadini lavoratori) ma si sà la “politica costa” e…… a questo punto siamo un po’ più più preoccupati…….

20/05/08

La sicurezza in Italia: I Rom

Nell’Italia della Mafia, della Ndrangheta, della Camorra e della Sacra corona unita, nell’Italia dei “tossici” e dei “balordi”, nell’Italia del tifo (non la malattia ma quello calcistico e quant’altro dello sport e oltre haimè!) e della “munnezza”, degli industriali truffaldini e degli evasori fiscali, nell’Italia del lavoro nero, extracomunitario e non, e dei prestanome e faccendieri e del falso in bilancio che non è più reato, dei politici corrotti e delle trame terroristiche che dopo trent’anni non vengono ancora svelate, nell’Italia dei servizi deviati e degli ubriachi, comunitari e non, che al volante fanno stragi, nell’Italia delle truffe e degli esami truccati all’università e dei concorsi anch’essi truccati, nell’Italia delle sette sataniche e della pedofilia e degli incarichi milionari dati agli “amici” con i soldi della collettività e di tanto e tant’altro, in questa nostra grande e “bella Italia” regno della “creatività e della fantasia” (quasi che tutti gli altri esseri umani non ne possano possedere neanche un bricciolo) appunto in questa nostra Italia anche o solo padana che si stà alzando anzi rialzando c’è un unico grande nemico il Rom, lo “zingaro”; quello che già quando eravamo piccoli - noi che siamo ormai alla terza età – ci si diceva “fai il buono ché sennò ti do agli Zingari”; e da grandicelli “mi raccomando non frequentare gli Zingari” perché sono sporchi, rubano, sono cattivi e soprattutto sono “poveri”.

E così per risolvere i problemi della sicurezza nel nostro “meraviglioso Paese” ci siamo subito precipitati a nominare i “commissari per i Rom”. E non ci si venga a dire che il nostro è il Paese dei commissari alle emergenze che non finiscono mai perché i commissari si preoccupano soprattutto dei loro lauti stipendi.

No, perché questa è finalmente la soluzione di tutti i nostri mali.

Che se poi siamo gli unici al mondo ad avere commissari per un intero “popolo” (perché che ci piaccia o meno quello Rom nelle pur più disparate etnie è un popolo) ma che c’importa? Siamo “italiani” appunto.

Israele non ha un commissario per i palestinesi e i palestinesi non hanno un commissario per gli israeliani, gli americani non hanno un commissario per gli indiani né le tante nazioni latine hanno un commissario per gli “Indios” ma noi avremo il “commissario per i Rom”.

Non so se ridere o piangere ma i fatti avvenuti a Napoli (senz’altro guidati dalla camorra) mi fanno davvero paura e mi portano la mente indietro nel tempo quando l’Italia anche dei “poeti e naviganti” quella degli “italiani brava gente” divenne d’un colpo razzista e xenofobia.

Ma non sarebbe assai più giusto dire che è giunta l’ora anche nel e per il nostro Paese che chiunque (per esempio tutti quelli di cui parlavo all’inizio del mio discorso) si macchi di un crimine, italiano, napoletano, padano o comunitario o extracomunitario debba comunque scontare la giusta pena? E non sarebbe più giusto rivedere le norme giuridiche riducendo a due i gradi di giudizio e già con una condanna in primo grado iniziare a scontare la pena che sarà sospesa solo dopo il positivo giudizio di secondo grado?

Ma ve li immaginate quanti criminali, politici corrotti e imprenditori truffaldini e … tanti anzi tutti quelli già nominati e tanti altri ancora sarebbero già in galera? E si fa presto a costruire carceri se non bastano.

E allora? No. Molto più facile trovare un colpevole per tutto e tutti. Un colpevole che possa pagare subito e senza fare tante storie. E chi meglio dei poveri (nel senso di povertà vera) e per giunta sporchi e ....cattivi perché i poveri sono sempre sporchi e cattivi e allora chi meglio dei Rom? Ma non quelli entrati della malavita organizzata che pure loro come … hanno soldi e avvocati. No.

Quelli più disgraziati appunto, quelli che non vogliono nemmeno i Rumeni (non Rom-eni) perché bisogna dargli le case e un lavoro che non vogliono e l’assistenza sanitaria e … perbacco costano troppo. Quelli dei campi nomadi “abusivi”.

E poi … rialzati Italia!!

18/05/08

Ancora sul caso Travaglio

Riprendo il mio articolo di qualche giorno fà ( http://pidario.blogspot.com/2008/05/che-brutta-la-vicenda-travaglio.html ) per fare ulteriori considerazioni sul caso Travaglio. Che il caso fosse “brutto” l’avevo già evidenziato ma non mi aspettavo che assumesse i toni che ha assunto. Sinceramente non capisco le ragioni di D’Avanzo che ha continuato, a mio avviso, dopo un articolo che poteva essere comprensibile (esagera Travaglio nelle sue considerazioni che più che giornalistiche a volte appaiono “opinioni” o quantomeno egli fa seguire a fatti non sempre chiari ed evidenti le sue opinioni…) a volerci spiegare dove “sbaglia” Travaglio.

Quello che lui voleva dire lo abbiamo ben compreso e io personalmente lo avevo anche sottolineato. Ma da qui allo scontro che nei giorni seguenti si è consumato ci passa eccome.

Ma si rende conto D’Avanzo che è in atto un tentativo di screditare tutta la stampa cosiddetta “non di regime” e quello che lui stesso dice? E se pensa di poterla fare in qualche modo franca si sbaglia e di grosso.

E’ dei giorni scorsi l’attacco di Castelli non solo a Travaglio ma anche a Stella e in definitiva a tutti quelli che parlano della mala politica (fatti ed opinioni non contano più) ripreso successivamente anche da una “valente parlamentare” del PDL di cui non ricordo il nome. E se tra quelli che della mala politica non hanno paura di parlare scoppia una guerra così intestina cosa potrà mai pensare l’opinione pubblica? Ma cosa importa ai cittadini se Travaglio avesse mai avuto pagato un soggiorno (cosa che non credo in alcun modo) e non serve a nulla dire che trattasi solo di un esempio. Forse Travaglio ricopre importanti cariche dello Stato?

Io stesso ebbi a dire nel mio precedente articolo che Travaglio alcune “battute” nel suo intervento in TV sul Presidente del Senato se le sarebbe potute risparmiare ma da qui a costruire tutta questa confusione ci passa e molto.

I cittadini hanno un urgente bisogno, e oggi più che mai, di una stampa che racconti fatti ed esprima opinioni sui fatti della politica e non d’altro…. e questo perché la Democrazia (mi si lasci passare l’esagerazione ma non troppo) continui a vivere in questo Paese.

14/05/08

Che brutta la vicenda “Travaglio”.

Tutti i politici se la prendono con lui; sia quelli di destra che quelli di sinistra ( e… certamente non solo per la vicenda in sé - i fatti prossimi ci diranno…- ma credo anche per molto altro). Con lui se la prendono anche tutta la stampa e le televisioni. Giuseppe D’Avanzo in un bell’articolo su Repubblica cui rinvio (http://www.repubblica.it/2008/05/sezioni/politica/insulti-schifani/lezione-schifani/lezione-schifani.html) piuttosto che sparare nel mucchio sceglie di fare una acuta riflessione definendolo “sincero con quel dice e insincero con chi lo ascolta. Dice quel che crede e bluffa sulla completezza dei "fatti" che dovrebbero sostenere le sue convinzioni. Non è giornalismo d'informazione, come si autocertifica. ma sommario e non in buona fede verso gli utenti. …. Queste "agenzie del risentimento" lavorano a un cattivo giornalismo. Ne fanno una malattia della democrazia e non una risorsa. …. trasformano in qualunquismo antipolitico una sana, urgente, necessaria critica alla classe politico-istituzionale. … Nel "caso Schifani" non si può stare dalla parte di nessuno degli antagonisti. Non con Travaglio che confonde le carte ed è insincero con i tanti che, in buona fede, gli concedono fiducia. Non con Schifani che, dalle inchieste del 2002, ha sempre preferito tacere sul quel suo passato sconsiderato. Non con chi - nell'opposizione - ha espresso al presidente del Senato solidarietà a scatola chiusa. Non con la Rai, incapace di definire e di far rispettare un metodo di lavoro che, nel rispetto dei doveri del servizio pubblico, incroci libertà e responsabilità. In questa storia, si può stare soltanto con i lettori/spettatori che meritano, a fronte delle miopie, opacità, errori, inadeguatezze della classe politica, un'informazione almeno esplicita nel metodo e trasparente nelle intenzioni”.

Se Travaglio voleva sollevare un “gran polverone” ci è molto ben riuscito. Peccato che questi polveroni in genere producono come effetto che le “libertà di stampa e quella di opinione” vengano ulteriormente ridotte o almeno così è stato sino ad oggi sia con la destra che con la sinistra.Perché tutti i politici, ogni volta che vengono in qualche modo toccati, reagiscono molto male. Certo per sentirsi toccati c’è bisogno che si usi un mezzo di forte diffusione come la televisione perché di quello che sui libri si scrive di loro sembrano proprio disinteressarsi. Ma vuoi che tra qualche centinaio di migliaia o un milione al massimo di (e)lettori e cinque o dieci e più milioni di (e)lettori non vi sia una differenza?

Una cosa che non capita mai in questo nostro Paese è che un politico si presenti a spiegare e chiarire pacatamente ed educatamente e con puntualità le ragioni del contendere ( per le quali magari più spesso è senza alcuna colpa) ai cittadini quasi che i cittadini non avessero proprio loro e per primi il diritto di sapere più di tutti.

E così tra un “Travaglio impertinente” e un “politico silente” come in qualche modo li definisce D’Avanzo il povero cittadino continua a mangiarsi la bile e a chiedersi: ma sarà poi vero? O no! E per aiutarci a questo punto la televisione cosa fa? Sostituisce il programma di informazione con un bel programma di intrattenimento. Perché nella nostra televisione di intrattenimento se ne vede così poco e che intrattenimento! e .. vissero tutti felici e scontenti….

Ah dimenticavo una cosa. Ma perché Fazio deve scusarsi con il Presidente della camera? Ma non è stato forse Travaglio a dire quello che ha detto? E Fazio si è subito dissociato (lo abbiamo sentito tutti). E poi Travaglio almeno la battuta sulla “muffa, i lombrichi e la penicillina” veramente stupida, banale e per nulla divertente se pure non offensiva ma certamente irriguardosa avrebbe potuto e dovuto risparmiarcela. E allora dicevo che c’entra Fazio? E perché in un servizio pubblico che si rivolge a tutti i cittadini ci devono essere cose che non si possono o debbono dire? Quelli che le dicono assumono in pieno la responsabilità di ciò che dicono e questo mi pare sufficiente per un pubblico maturo e adulto che sà senz’altro trarre una sua opinione. Se, come ci ha informato la stampa, Travaglio dovrà rispondere davanti al Magistrato sarà quella la giusta sede dove si renderà credibilità e giustizia e non servono i “politici giudici” che gridano allo scandalo e vivaddio nel 2008 ancora alla lesa maestà.

04/05/08

La violenza di gruppo

La violenza e ancor più i comportamenti violenti di gruppo dovrebbero essere perseguiti con assai minor indulgenza da qualunque parte vengano sia che siano extracomunitari o cittadini stranieri sia che siano giovani di destra o sinistra sia che siano ultrà degli stadi o altro.

Il comportamento violento di gruppo è più efferato dell’aggressione del singolo perché pone la vittima in condizione di non potersi in alcun modo difendere e non vale nulla a mio avviso il dire che non c’era la volontà di uccidere; prendere a calci in tanti una persona significa non avere alcun rispetto dell’altro non considerarlo un essere umano e che ciò comporti la morte o meno non ha alcun importanza.

E’ un grosso problema di ordine pubblico che merita più attenzione da parte di tutti e pene severe e rapide come haimè non accade spesso nel nostro paese. Chi non ricorda le tante gravi aggressioni di tifosi che finiscono sempre o quasi nel vuoto? O chi non ricorda anche le tante aggressioni diciamo “a sfondo politico” anch’esse troppo tollerate?

Il diritto di manifestare sia per vicende amene come gli eventi sportivi che per vicende politiche è un diritto sacrosanto in democrazie come la nostra e non deve essere mai messo in discussione ma proprio per questo tale diritto impone il dovere di rispettare le regole della democrazia e rispetto degli altri. E per hi trasgredisce non ci sono attenuanti che tengano.

Il declino degli stipendi

Bello articolo su “Repubblica economia” sui redditi da lavoro dipendente di Maurizio Ricci

(per chi avesse interesse può andare direttamente al sito del Bri banca dei regolamenti internazionali di Basilea: http://www.bis.org/ ed al sito del Mit: http://www.mit.edu/)

che riporto integralmente e dal quale si evince che forse la lotta di classe non più intesa secondo i vecchi schemi ma letta col linguaggio del nostro tempo è molto più attuale di quanto si pensi. E se è così, come in effetto è, quali i rimedi?

Repubblica ECONOMIA
Secondo uno studio della Bri è sempre più alta la quota di Pil che va ai profitti. Dagli anni Ottanta ad oggi salari schiacciati.

Il declino globale degli stipendi “in busta 5mila euro in meno l'anno”
MaurizioRicci


ROMA -
La lotta di classe? C'è stata e l'hanno stravinta i capitalisti. In Italia e negli altri Paesi industrializzati, gli ultimi 25 anni hanno visto la quota dei profitti sulla ricchezza nazionale salire a razzo, amputando quella dei salari, e arrivare a livelli impensabili ("insoliti", preferiscono dire gli economisti). Secondo un recente studio pubblicato dalla Bri, la Banca dei regolamenti internazionali, nel 1983, all'apogeo della Prima Repubblica, la quota del prodotto interno lordo italiano, intascata alla voce profitti, era pari al 23,12 per cento. Di converso, quella destinata ai lavoratori superava i tre quarti. Più o meno, la stessa situazione del 1960, prima del "miracolo economico". L'allargamento della fetta del capitale comincia subito dopo, nel 1985. Ma per il vero salto bisogna aspettare la metà degli anni '90: i profitti mangiano il 29 per cento della torta nel 1994, oltre il 31 per cento nel 1995. E la fetta dei padroni, grandi e piccoli, non si restringe più: raggiunge un massimo del 32,7 per cento nel 2001 e, nel 2005 era al 31,34 per cento del Pil, quasi un terzo. Ai lavoratori, quell'anno, è rimasto in tasca poco più del 68 per cento della ricchezza nazionale. Otto punti in meno, rispetto al 76 per cento di vent'anni prima. Una cifra enorme, uno scivolamento tettonico. Per capirci, l'8 per cento del Pil di oggi è uguale a 120 miliardi di euro. Se i rapporti di forza fra capitale e lavoro fossero ancora quelli di vent'anni fa, quei soldi sarebbero nelle tasche dei lavoratori, invece che dei capitalisti. Per i 23 milioni di lavoratori italiani, vorrebbero dire 5 mila 200 euro, in più, in media, all'anno, se consideriamo anche gli autonomi (professionisti, commercianti, artigiani) che, in realtà, stanno un po' di qui, un po' di là. Se consideriamo solo i 17 milioni di dipendenti, vuol dire 7 mila euro tonde in più, in busta paga. Altro che il taglio delle aliquote Irpef. Non è, però, un caso Italia. Il fenomeno investe l'intero mondo sviluppato. In Francia, rileva sempre lo studio della Bri, la fetta dei profitti sulla ricchezza nazionale è passata dal 24 per cento del 1983 al 33 per cento del 2005. Quote identiche per il Giappone. In Spagna dal 27 al 38 per cento. Anche nei paesi anglosassoni, dove il capitale è sempre stato ben remunerato, la quota dei profitti è a record storici. Dice Olivier Blanchard, economista al Mit, che i lavoratori hanno, di fatto, perduto quanto avevano guadagnato nel dopoguerra. Forse, bisogna andare anche più indietro, al capitalismo selvaggio del primo '900: come allora, in fondo, succede poi che il capitalismo troppo grasso di un secolo dopo arriva agli eccessi esplosi con la crisi finanziaria di questi mesi. Ma gli effetti sono, forse, destinati ad essere più profondi. C'è infatti questo smottamento nella redistribuzione delle risorse in Occidente dietro i colpi che sta perdendo la globalizzazione e il risorgere di tendenze protezionistiche: da Barack Obama e Hillary Clinton, fino a Nicolas Sarkozy e Giulio Tremonti. Sostiene, infatti, Stephen Roach, ex capo economista di una grande banca d'investimenti come Morgan Stanley, che la globalizzazione si sta rivelando come un gioco in cui non è vero che vincono tutti. Secondo la teoria dei vantaggi comparati di Ricardo, la globalizzazione doveva avvantaggiare i paesi emergenti e i loro lavoratori, grazie al boom delle loro esportazioni. E quelli dei paesi industrializzati, grazie all'importazione di prodotti a basso costo e alla produzione di prodotti più sofisticati. "E' una grande teoria - dice Roach - ma non funziona come previsto". Ai lavoratori cinesi è andata bene, ma quelli americani ed europei non hanno mai guadagnato così poco, rispetto alla ricchezza nazionale. Sono i capitalisti dei paesi sviluppati che fanno profitti record: pesa l'ingresso nell'economia mondiale di un miliardo e mezzo di lavoratori dei paesi emergenti, che ha quadruplicato la forza lavoro a disposizione del capitalismo globale, multinazionali in testa, riducendo il potere contrattuale dei lavoratori dei paesi sviluppati. Quanto basta per dirottare verso le casse delle aziende i benefici dei cospicui aumenti di produttività, realizzati in questi anni, lasciandone ai lavoratori le briciole. Inevitabile, secondo Roach, che tutto questo comporti una spinta protezionistica nell'opinione pubblica, a cui i politici si mostrano sempre più sensibili. Ma il ribaltone nella distribuzione della ricchezza in Occidente è, allora, un effetto della globalizzazione? Non proprio, e non del tutto. Secondo gli economisti del Fmi, nonostante che il boom del commercio mondiale eserciti una influenza sulla nuova ripartizione del Pil, l'elemento motore è, piuttosto, il progresso tecnologico. Su questa scia, Luci Ellis e Kathryn Smith, le autrici dello studio della Bri, osservano che il balzo verso l'alto dei profitti inizia a metà degli anni '80, prima che le correnti della globalizzazione acquistino forza. Inoltre, l'aumento della forza lavoro disponibile a livello mondiale interessa anzitutto l'industria manifatturiera, ma, osservano, non è qui - e neanche nei servizi alle imprese, l'altro terreno privilegiato dell'offshoring - che si è verificato il maggior scarto dei profitti. Il meccanismo in funzione, secondo lo studio, è un altro: il progresso tecnologico accelera il ricambio di macchinari, tecniche, organizzazioni, che scavalca sempre più facilmente i lavoratori e le loro competenze, riducendone la forza contrattuale. E' qui, probabilmente, che la legge di Ricardo, a cui faceva riferimento Roach, si è inceppata. Il meccanismo, avvertono Ellis e Smith, è tutt'altro che esaurito e, probabilmente, continuerà ad allargare il divario fra profitti e salari in Occidente. Dunque, è la dura legge dell'economia a giustificare il sacrificio dei lavoratori, davanti alla necessità di consentire al capitale di inseguire un progresso tecnologico mozzafiato? Neanche per idea. La crescita dei profitti, sottolinea lo studio della Bri, "non è stato un passaggio necessario per finanziare investimenti extra". Anzi "gli investimenti sono stati, negli ultimi anni, relativamente scarsi, rispetto ai profitti, in parecchi paesi". In altre parole "l'aumento della quota dei profitti non è stata la ricompensa per un deprezzamento accelerato del capitale, ma una pura redistribuzione di rendite economiche". La lotta di classe, appunto.
(3 maggio 2008)

22/04/08

Così ho detto a mia figlia che sono malato di cancro"

Dalla scoperta del male alla battaglia per contrastarlo
di CORRADO SANNUCCI

(http://www.repubblica.it/2008/04/sezioni/spettacoli_e_cultura/libro-sannucci/libro-sannucci/libro-sannucci.html )

HO svegliato mia figlia e poi siamo rimasti insieme sul letto a farci qualche coccola. "Papà, ma tu adesso non parti più!". Ho visto nei suoi occhi verdi una consapevolezza che andava molto oltre la circostanza che io non viaggiassi più per lavoro. La sua era una constatazione che conteneva, implicita, una domanda. Ho deciso di risponderle. Le spiego che adesso ho un'infezione al sangue, una specie di raffreddore ai globuli rossi.

"Non hai mai sentito starnutire i miei globuli rossi in questi giorni?". Le chiedo. "Non hai sentito noiosi "eccì" che non mi fanno dormire la notte?".
Mia figlia sorride, questo inizio di spiegazione l'ha già in parte rassicurata. La mia medicina scende da questo pistoncino che ormai conosce bene. Sarà una cura lunga e noiosa, che mi impedisce di prendere l'aereo, non vogliono che salga a bordo gente che potrebbe nascondere delle bombe nei pistoncini fissati al braccio. Le parti del puzzle cominciano a combaciare. Io che non parto più, il mio elastomero che fa scattare l'allarme al controllo di sicurezza dell'aeroporto, io che la notte mi alzo continuamente perché le emazie che starnutiscono mi svegliano.
Facciamo colazione mentre mia moglie si prepara ad accompagnarci, lei a scuola, me in ospedale. Con una manciata di corn-flakes mia figlia è sazia, io non sarei placato che da un paio di etti di gorgonzola. Ma le faccio compagnia con un biscotto, ha già dovuto digerire l'infezione del padre, non vorrei che le apparisse ora come un famelico Shrek.
"Ma dimmi, preferisci quando papà è in viaggio o quando resta a casa e sta più tempo con te?".

Che domanda piena di trabocchetti mi sono inventato. Per quanto possa averla rassicurata, dev'essere chiaro nella sua testa che la mia presenza a casa è legata alla mia salute, alla possibilità che io non stia bene. Ma come risponderà? Se non avesse un'intuizione delle ragioni della mia insolita disponibilità non potrebbe preferire questi pomeriggi nei quali facciamo i compiti, ascolto i suoi esercizi di pianoforte, la accompagno alle lezioni di nuoto, perdiamo tempo a scegliere le figurine dal giornalaio? "Preferisco quando sei in viaggio!" dice con una smorfia, recitando una scena del tipo: così a casa posso fare quello che mi pare. Ma è solo una recita, appunto. Ci guardiamo negli occhi. "Risposta esatta!" le dico. "Ho vinto un premio?". "Certo. Te lo sei meritato".
Mia figlia ha capito tutto. Vuole il papà a lavorare lontano, lo vuole sano.

2.
Il 5 dicembre è una tersa giornata dell'inverno più caldo degli ultimi cento anni. Alle 15 in punto mi siedo davanti al primario del reparto oncoematologico del Santo Spirito.
Ho con me le analisi del sangue e la mente già piena di tetre premonizioni.
Ho dato uno sguardo ai valori dei globuli rossi e delle piastrine, anche a un profano è evidente che c'è un problema serio nel mio midollo.
Il primario è un uomo piccolo, più giovane di me, dai modi decisi e con una somiglianza a certi ritratti dei repubblicani, i Gracchi o i Bruti. Percepisco immediatamente che la vita non mi risparmierà alcun male e lui non mi nasconderà nulla di questo male.
Analizza i numeri che sono sui fogli ma il suo interesse è per il diagramma dell'ultima pagina, il picco monoclonale delle gammaglobuline, la fotografia rivelatrice di quello che sta accadendo dentro di me.
Non ci sono "mmmh" di dubbio, non ci sono se o ma o forse. La visione di quell'everest rosso spiega tutto. "Questo è un mieloma multiplo" mi dice con voce ferma. "Una brutta bestia".
Sono le 15.01. La mia vita precedente è distrutta. Il bombardamento di Dresda era stato più lento, anche lo tsunami si era avvicinato dando il tempo a qualcuno di arrampicarsi su un albero, il tornado Katrina era stato annunciato per televisione. Solo a Hiroshima la bomba atomica era stata più rapida di questa sentenza.

3.
C'è un breve silenzio tra di noi, il primario è consapevole dell'annuncio che mi ha dato. Per reggere il confronto con la sua fermezza anch'io tengo la schiena dritta e lo sguardo fisso su di lui. In realtà sono stordito dalle ondate di uno choc emotivo totale. Un mieloma multiplo.
Siamo a dicembre, arriverò fino a marzo? Riuscirò a sistemare la cose di famiglia in questi pochi mesi? Devo avvertire il giornale che questa sera non potrò essere all'Olimpico per Roma-Valencia. Mia moglie deve trovare un lavoro, dovrà aiutarla in questi giorni. Finisce così improvvisamente la vita, senza mai un avvertimento o un segnale di allarme? Finisce quando siamo ancora giovani?
Mia figlia è così piccola, come crescerà senza padre? Il primario interrompe il mio camminare sullo strapiombo.
"C'è una strada possibile per uscirne. Lunga e faticosa".
Ah, c'è una strada. Non lo sapevo: quando io ero ragazzo, quarant'anni fa, un mieloma era senza scampo. Non mi ero aggiornato sui progressi dell'ematologia. Ascolto il mio inflessibile Gracco, non se ne rende conto ma il mio precipitare nel baratro sta rallentando, improvvisamente mi sento aggrappato a un piccolo paracadute. "Però questa è una malattia che non ammette il pareggio. O si vince o si perde".

4.
Per la diagnosi definitiva c'è in realtà bisogno di un puntato midollare, anche se, mi dice esplicitamente il primario, che sa come dirmi le cose indicibili, non ci sono possibilità di errore.
"Vogliamo cominciare adesso o vuole aspettare o farsi visitare da un altro medico?".
"Che aspettiamo? Andiamo subito" gli rispondo bruscamente.
Se la strada è lunga e faticosa è meglio incamminarsi immediatamente.
"Sentirà dolore".
"Non importa, facciamo quello che è necessario fare".
Sono disteso su un lettino e mi immerge un ago nello sterno, ma la raccolta è laboriosa, l'osso è duro e non si riesce a tirare via niente. Proviamo allora sulla cresta iliaca, questa volta con maggiore successo. "Sente dolore", chiede più volte. "No" rispondo tranquillamente. Nulla di quel rimestare tra muscolo e osso si avvicina minimamente all'idea che ho del dolore.
Torniamo nel suo studio, non è passata mezz'ora e ho già una garza e un cerotto addosso.
"Devo dirle che lei è libero di scegliere la terapia che preferisce. Ha tutto il diritto di andarsene da qui e affidarsi a chiunque altro ritenga possa farla uscire da questa situazione e con i metodi che più la convincano".
Un poco pizzica la puntura sull'anca. Il primo fastidio percepito in una storia che finora è stata del tutto muta e nascosta. "Lei intende niente chemio ma omeopatia o somatostatina o gita a Lourdes o guaritori con la dieta?" chiedo.
"Le opzioni legittime di altri pazienti" commenta il primario in modo molto politically correct.
"No, resto qui. E voglio aghi nelle vene appena possibile. La autorizzo a ferirmi, a entrarmi nel corpo in ogni momento e modo lei ritenga necessario, a invadermi con sostanze chimiche o strumenti nelle dosi più potenti che la terapia richiede, con le ferite più profonde che le analisi impongono. Nulla mi dev'essere risparmiato. Mi tormenti, mi sgretoli, mi frantumi. Raccolga da me il siero, l'osso, il sangue. Mi nutra delle più devastanti molecole che la scienza abbia inventato. Io voglio dentro di me queste molecole e ho fiducia in questa scienza. Ma questa battaglia devo vincerla".
(Questo brano è l'inizio del primo capitolo del libro "A parte il cancro tutto bene" scritto da Corrado Sannucci, inviato di Repubblica)

(22 aprile 2008)

06/04/08

L’ultima lezione di Randy Pausch

Riporto la traduzione dell’ultima lezione del Prof. Pausch la traduzione integrale, interruzioni comprese, a cura di Anna Bissanti dall’Espresso di Alessandro Gilioli ( http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2007/10/08/lultima-lezione-di-randy-pausch/ )

Non c'è da commentare ma solo leggere e riflettere

L’ultima lezione di Randy Pausch

Ovvero, sto per morire e mi sto divertendo.

E’ la “last lecture” di Randy Pausch, il docente di informatica (e molto altro) malato di un tumore terminale che ha riassunto in una lunga lezione il senso della vita secondo lui.

L’ultima conferenza di Randy Pausch
“Come realizzare i sogni della vostra infanzia”

Buonasera a tutti. É magnifico essere qui. Questa serie di conferenze un tempo si chiamava “L’ultima conferenza: se aveste un’ultima conferenza da fare, di che cosa parlereste?” E io ho pensato: “Accidenti, finalmente avevo centrato l’argomento e loro le cambiano nome!” [Risate].

Bene, eccoci qui. Nel caso in cui ci fosse qualcuno che è capitato qui per caso e non conosce la mia storia, mio padre mi ha insegnato che quando c’è un grosso problema bisogna affrontarlo. Nelle mie Tac compaiono una decina circa di tumori al fegato e il dottore mi ha detto che mi restano dai tre ai sei mesi di buona salute. Considerato che me l’ha detto un mese fa, i conti sono presto fatti. Ho i medici migliori al mondo. Cosa c’è? Non funziona il microfono? Allora parlerò più forte…[aggiusta il microfono]. Va bene così? Ok. Allora, stavo dicendo che le cose stanno così. Non possiamo cambiarle. Possiamo soltanto decidere in che modo reagiremo alla situazione. Non possiamo cambiare le carte che ci sono date, possiamo soltanto decidere come giocare la prossima mano. Se non vi sembro depresso o cupo come pensate che dovrei essere, mi dispiace deludervi. [Risate].

Vi assicuro che non provo un atteggiamento di rifiuto. Non è che io non sia pienamente consapevole di quanto mi sta accadendo.
La mia famiglia, i miei tre figli, mia moglie…abbiamo traslocato. Abbiamo comperato una splendida casa in Virginia e stiamo facendo tutto ciò perché questo è un posto bellissimo per viverci. La nostra casa è più giù lungo questa stessa strada. L’altra cosa che vorrei dirvi è che in questo momento sono in ottima forma, in forma smagliante e fenomenale. Ciò che intendo dire è che il fatto che io sia in ottima forma davvero è l’esempio di dissonanza cognitiva più plateale che vi possa capitare di vedere. Di fatto, credo di essere in forma migliore della maggior parte di voi qui presenti. [Randy si sdraia per terra e inizia a fare flessioni] [Applausi] Pertanto se qui c’è qualcuno che intende piangere o compatirmi, può scendere e fare un paio di flessioni, e soltanto dopo potrà compatirmi. [Risate].

Va bene… allora, di una cosa non parleremo oggi. Non parleremo di cancro, perché ho già parlato a lungo di questo e davvero non mi interessa parlarvene. Se avete qualche integratore a base di erbe o qualche altro rimedio, vi prego di starmi alla larga. [Risate].

Non parleremo anche di altre cose che sono più importanti dell’esaudire i sogni della vostra infanzia. Non parleremo di mia moglie e non parleremo dei miei figli, per esempio, perché sono bravo, sì, ma non così bravo da poterne parlare senza scoppiare a piangere. Pertanto, molto semplicemente, accantoneremo questo argomento, che è molto più importante.

Altre cose di cui non parleremo sono la spiritualità e la religione, anche se vi devo confessare di aver appena avuto una conversione in extremis, in punto di morte….[pausa drammatica di silenzio]. Mi sono appena comperato un Macintosh. [Risate e applausi]. Ecco, adesso so che almeno un nove per cento del pubblico è con me…

D’accordo, ma allora di che cosa parliamo oggi? Parliamo dei miei sogni d’infanzia e di come li ho realizzati. Da questo punto di vista sono stato molto fortunato. Parleremo di come credo di aver reso possibili i sogni altrui e, in una certa qual misura, degli insegnamenti che se ne possono ricavare. Sono un professore, pertanto dovrebbe essere possibile ricavare qualcosa che consenta ai vostri sogni di realizzarsi. A mano a mano che si diventa grandi, si può scoprire che “permettere ai sogni altrui di realizzarsi” è ancora più gratificante.

Dunque, volete sapere quali erano i sogni della mia infanzia? Prima di tutto vi premetto di aver avuto un’infanzia davvero molto felice. Sì, sul serio, non sto scherzando. Ho frugato nell’archivio di famiglia e la cosa che mi ha davvero colpito è che non sono riuscito a trovare nessuna foto di me bambino nella quale io non stessi sorridendo. E questo di per sé è già molto gratificante. [Compare una diapositiva] Questo è il nostro cane, d’accordo? Sbadiglia… e questo sono io che sogno. Sognavo molto.

Sapete, c’era molto per cui sognare ad occhi aperti. Sono nato nel 1960. Avevo otto o nove anni e se guardavo la televisione potevo vedere l’uomo sbarcare sulla Luna. A quel punto capite bene che ogni cosa è possibile. Ecco, questo non dovremmo dimenticarlo mai. L’ispirazione e la possibilità di sognare sono immense.

Quali erano i miei sogni d’infanzia? Potrete anche non essere d’accordo con il mio elenco, ma si tratta dei seguenti: sperimentare l’assenza di gravità, giocare nella Lega Nazionale di Football, scrivere una voce della World Book Enciclopedia (beh, sì, presumo che i secchioni si individuino subito, non è così? ), essere Captain Kirk…

C’è qualcuno tra voi che ha avuto questi stessi sogni quando era bambino? No, alla Carnegie Mellon University no di sicuro! Volevo anche essere uno di quei tipi che vincono i pupazzi giganti al Luna Park, e volevo diventare uno degli imagineer della Disney (coloro che pianificano e realizzano le attrazioni dei parchi giochi, nota del traduttore).

Ecco, ve li ho elencati in ordine sparso, anche se a esclusione forse del primo, sperimentare l’assenza di gravità, di sicuro erano sogni di difficile realizzazione.

Io credo che sia molto importante avere sogni precisi. Non sognavo di diventare un astronauta, perché quando ero piccolo e indossavo gli occhiali qualcuno mi aveva detto che gli astronauti non possono indossare gli occhiali…e io avevo dichiarato: “Mmmm, non mi interessa diventare astronauta. A me interessa soltanto galleggiare nell’aria”.

Così da piccolo, come potete vedere nella diapositiva, mi allenavo [si vede Randy bambino che sdraiato sul tavolo di casa assume la posizione tipica di chi galleggia in assenza di gravità]. Ma ovviamente questo sistema non funzionava granché. Più avanti è saltato fuori che la Nasa disponeva di una cosa detta “La cometa del vomito” con la quale si addestravano gli astronauti. Si tratta di un apparecchio che effettua delle paraboliche. Alla sommità di ogni arcata per 25 secondi circa si diventa dei proiettili e si sperimenta, per circa 25 secondi soltanto, un vago equivalente dell’assenza di gravità.

Ebbene, esiste un programma al quale gli studenti universitari possono sottomettere varie proposte e il progetto migliore si aggiudica il diritto di volare. Così io ho pensato che potesse essere un’occasione meravigliosa. Ho formato un team di studenti che ha vinto e si è aggiudicato il diritto di volare. Io ero al settimo cielo: sarei andato anch’io. Poi però mi sono scontrato con la prima dura realtà: mi hanno detto chiaramente che per nessun motivo un membro di facoltà avrebbe potuto volare con il team. Capirete…ero a pezzi. Mi sembrava impossibile: avevo lavorato così sodo!

Allora mi sono riletto con grande attenzione tutto ciò che c’era da leggere sul programma e ho scoperto che la Nasa, nell’ambito del suo programma di assistenza e promozione, permetteva agli studenti di portarsi dietro dalla loro città il giornalista di un media locale. [Risate]. E così…[fa la voce profonda] “Randy Pausch è un giornalista web”. [Torna alla voce normale].
È davvero molto facile ottenere un pass per la stampa! [Risate]. A quel punto chiamo la Nasa e chiedo a quale numero avrei potuto faxare alcuni documenti. Loro mi chiedono di che documenti si tratta. E io rispondo che si tratta delle mie dimissioni da membro della facoltà e della mia candidatura al ruolo di giornalista. Loro mi chiedono: “Non le pare un po’ troppo sfacciata come manovra?”. E io dico: “Sì certo, ma il nostro progetto riguarda la realtà virtuale. Porteremo con noi moltissime cuffie con apparecchi VR (virtual reality), e tutti gli studenti che formano il gruppo la sperimenteranno, mentre tutti i veri giornalisti riprenderanno la scena”. E Jim Foley (che è qui tra il pubblico e annuisce….sì, tu, bastardo!) mi dice: “Eccole il numero di fax”.

Quindi, in conclusione, abbiamo rispettato i patti. Questo è uno di quegli argomenti di cui sentirete parlare ancora a lungo più avanti: avere sempre qualcosa da mettere sul tavolo, proprio così, perché questo vi rende più bene accetti. Se siete curiosi di sapere com’è l’assenza di gravità, ecco…spero che il sonoro funzioni. [Nella diapositiva si vede Randy che sperimenta l’assenza di gravità]. Io sono questo qui. [Risate, perché le persone del video si schiantano sul pavimento dell’aereo]. Pertanto, sogno d’infanzia numero uno: esaudito.

Ok, passiamo al football.

Il mio sogno, come vi ho detto, era giocare nella Lega Nazionale di Football, ma probabilmente ho avuto molto più da questo sogno che non si è realizzato che da tutti quelli che invece si sono realizzati.

Avevo un allenatore. Firmai con lui a nove anni. Ero il più piccolo della Lega, e avevo un allenatore, Jim Graham, che era alto quasi un metro e novanta e aveva giocato da linebacker (difensore piazzato alle spalle della prima linea di difesa, nota del traduttore) con i Penn State. Era un colosso ed era della vecchia scuola. Intendo proprio vecchia…il primo giorno di allenamento eravamo tutti spaventati a morte da quel gigante. Lui arrivò… ed era senza pallone. Come avremmo mai potuto allenarci senza pallone? Allora un ragazzino si fece avanti e gli disse: «Senta coach, mi scusi, ma non c’è il pallone». E il coach Graham: «È vero. Ma ditemi un po’, quante persone ci sono in campo?». E noi in coro: «Undici per squadra, ventidue in tutto». «Esatto. E quante persone alla volta toccano il pallone?». «Una sola». «Giusto. Quindi noi inizieremo da quello che fanno gli altri ventuno».

Sì, è propria una bella storiella, perché parla delle cose fondamentali, le cose basilari, le cose che contano. È importante concentrarsi su queste, le cose fondamentali, perché tutto ciò che è superfluo e inutile non serve a niente.

L’altra cosa importante legata al coach Jim Graham riguarda l’allenamento. Mi stava sempre addosso, sempre. Mi faceva sgobbare e lavorare senza sosta: “Sbagli questo, ripeti. Sbagli anche quell’altro. Fallo ancora. Torna indietro e ricomincia. Me lo devi…dopo l’allenamento fai le flessioni” e così via. Un giorno, al termine dell’allenamento, uno degli altri coach mi si avvicina e mi dice: «Il coach ti ha lavorato ben bene, non è così?». Io rispondo di sì, e lui chiosa: «Si tratta di un buon segno. Quando sbagli qualcosa e nessuno ti dice più niente, significa che ormai hanno rinunciato».

Questa è una lezione che ho imparato e ho ricordato per tutta la vita: quando fai qualcosa di sbagliato e nessuno si prende la briga di dirti qualcosa, significa che è meglio cambiare aria. Chi ti critica lo fa perché ti ama e ti ha a cuore.

Dopo il coach Graham ne ho avuto un altro, il coach Setliff, che mi ha insegnato moltissime cose sul potere dell’entusiasmo. Faceva una cosa terribile, a ripensarci: inseriva un giocatore alla volta per un solo tempo nella posizione che era la meno plausibile e la più sbagliata per lui. Per esempio, metteva in campo tutti i bassi nella posizione di ricevitore, capite? Beh, insomma, l’altra squadra era assolutamente disorientata. Non sapeva chi era a colpire. Perché se si gioca soltanto un tempo e non ci si trova dove uno suppone ci si debba trovare, libertà diventa sinonimo di nulla da perdere… L’entusiasmo era alle stelle. Ancora oggi da nessuna parte mi sento più a mio agio che su un campo da football.

Quello che voglio dire è che quando ho un problema da risolvere [tira fuori un pallone], la gente mi vede andare in giro con uno di questi… perché quando si è giovani e qualcosa come il football è la tua vita, diventa una parte di te. Per sempre. Sono molto contento che il football sia stato parte della mia vita. Anche se il desiderio di giocare nella Lega Nazionale di Football non si è realizzato, pazienza. Probabilmente ci sono cose che contano di più. Se poi guardiamo a quello che stanno facendo nella NFL….non sono più così sicuro che si stiano comportando bene….

Bene, uno dei modi di dire che ho acquisito lavorando per l’Electronic Arts, che mi piace moltissimo ed è in relazione a quanto ho appena raccontato è questo: “L’esperienza è ciò che ottieni quando non sei riuscito a ottenere ciò che volevi”. Penso che sia assolutamente deliziosa.

L’altra cosa che posso dire del football, come di qualsiasi altro sport o attività che facciamo praticare ai nostri figli, che si tratti di football o di calcio, di nuoto o di qualsiasi altra cosa, è che questo è un esempio di quello che io definirei l’apprendimento indiretto. In realtà noi non vogliamo che i nostri figli imparino a giocare a football. Sì, insomma, è carino che io abbia queste tre punte e che so come fare blocco e così via…ma noi mandiamo i nostri figli a imparare cose molto più importanti di queste. Spirito di squadra, spirito sportivo, perseveranza, eccetera. Tutti questi apprendimenti indiretti sono importantissimi. Anzi, bisognerebbe aprire bene gli occhi, stare sempre all’erta e coglierli ovunque, perché sono ovunque.

Passiamo adesso all’altro desiderio, diventare autore di una voce della World Book Encyclopedia. Quando ero bambino, su una mensola di casa nostra c’era la World Book Encyclopedia…per le matricole devo precisare che si tratta di un’enciclopedia in versione cartacea! Bene, c’erano queste cose che chiamavamo libri [risate]. Dopo che sono diventato per così dire un’autorità in fatto di realtà virtuale, ma non poi così importante, mi sono trovato al livello di coloro ai quali la World Book Encyclopedia avrebbe potuto chiedere di scrivere un articolo. E infatti mi chiamarono e io ho scritto un articolo! Questa è Caitlin Kelleher [nella diapositiva Caitlin indossa una cuffia VR con la quale si muove in un mondo tridimensionale] e se andate nella vostra libreria locale, dove conservano ancora copie cartacee della World Book Encyclopedia, se cercate alla voce Virtual Reality troverete il mio articolo. Tutto ciò che posso dire è che effettivamente essendo stato scelto per diventare un autore della World Book Encyclopedia, posso assicurarvi che Wikipedia è una fonte perfetta di informazioni per voi, perché conosco il controllo di qualità delle vere enciclopedie!

Ok, passiamo pure al desiderio successivo. [Diapositiva riportante la scritta: “Incontriamo il Capitano Kirk”] [Risate].
A un certo punto della propria vita uno si rende conto che ci sono alcune cose che non potrà fare, così forse sarebbe meglio starsene con i piedi per terra. Beh, mio Dio, che modello per i giovani! [Risate] [diapositiva del Capitano Kirk seduto alla sua postazione di controllo sull’astronave Enterprise].

Ecco, io volevo essere così, ma quello che mi ha spinto più avanti nel corso della vita alla vera leadership, è aver capito che lui non era il più importante dell’astronave! C’era Spock, che non era niente male, e McCoy, il dottore, e poi c’era Scotty, l’ingegnere… tanto che alla fine uno finisce col chiedersi quali competenze, quali abilità possa mai avere lui per starsene ai comandi e coordinare tutti? E allora capisci che c’è una cosa che si chiama leadership, e ti piaccia o meno questa serie di telefilm, non c’è dubbio che osservando quel tipo in azione si imparano molte cose su come dirigere e comandare gli altri. E in più ha i giocattoli più belli di tutti! [mostra una diapositiva dei gadget di Star Trek].
Beh, insomma, da bambino credevo fosse affascinante che il Capitano Kirk avesse tutte queste cose, [tira fuori uno Star Trek Communicator] e potesse parlare a tutta l’astronave con questo. Credevo che fosse semplicemente spettacolare e ovviamente anche io oggi ne possiedo uno, e perfino più piccolo… [Estrae il suo telefono cellulare]. Insomma, tutto ciò è molto cool… quindi ho realizzato anche questo sogno.

James T. Kirk e il suo alter ego William Shatner hanno scritto un libro, che credo sia un libro niente male affatto. Lo hanno scritto con Chip Walter, uno scrittore che vive a Pittsburgh. Il libro parla della scienza di Star Trek, ovvero di quello che di Star Trek si è avverato. Gli autori si sono recati in vari posti del Paese, osservando varie cose e sono venuti qui a osservare la nostra realtà virtuale. Così abbiamo realizzato una realtà virtuale apposita, che era più o meno una cosa del genere. [Mostra la diapositiva del ponte virtuale di Star Trek ripreso da una trasmissione televisiva degli anni Sessanta]. È stato davvero forte conoscere l’idolo della mia infanzia, ma ancora meglio è quando è lui a venire da te per capire le cose più incredibili che tu stai preparando nel tuo laboratorio. Sì, fu un grande momento davvero…

Bene, siamo arrivati alla vincita dei peluche… potrà sembrarvi qualcosa di assolutamente banale, ma quando si è piccoli e al luna park si vedono questi tipi con grossi peluche sotto il braccio… bene, questa è la mia adorabile moglie e queste sono tutte immagini di grossi peluche che ho vinto. [Risate, mostra le diapositive di vari peluche di grosse dimensioni]. Questo è mio padre in posa con un peluche che ho vinto. Sì, ne ho vinti moltissimi. Questo è ancora mio padre con un peluche che ha vinto lui. Questa è una parte della mia vita e della mia famiglia.

Già so che cosa staranno pensando i cinici: diranno che in questa epoca di immagini manipolate digitalmente, forse tutti questi orsi non sono davvero nella foto con me, o forse ho pagato cinque dollari a qualcuno che aveva vinto davvero i peluche perché mi facesse fare una fotografia con loro….Così mi sono chiesto: come posso in quest’epoca di cinismo, convincere le persone? Risposta: ho capito, porto gli orsi. Prego, portateli fuori! [Svariati peluche di grosse dimensioni sono portati in scena. Risate e applausi]. Ecco, appoggiateli alla parete di fondo, grazie.

Bene, eccovi qui i miei orsacchiotti. Poiché non abbiamo abbastanza spazio per loro nel trasloco, se qualcuno vuole conservare un pezzetto di me, si accomodi pure, alla fine potrà venire a prendersene uno. Chi prima arriva, meglio sceglie!

Bene. Possiamo passare al desiderio successivo. Essere un Imagineer. Ecco, questo era proprio difficile. Credetemi: sperimentare l’assenza di gravità è niente rispetto a diventare un Imagineer! Quando avevo otto anni la mia famiglia aveva attraversato tutto il Paese per andare a Disneyland. Non so se avete visto il film “National Lampoon´s Vacation”…bene, è stato un po’ come in quel film. [Risate]. Fu una vera odissea. [Mostra diapositive della sua famiglia a Disneyland]. Ecco, queste sono alcune foto vintage, e questo sono io di fronte al castello. Eccomi lì…per quelli di voi che stanno avendo qualche strano presagio, quello è lo scivolo di Alice. [Risate].

Eccomi lì, dicevo. Pensavo che quello era davvero l’ambiente più fantastico che io avessi mai visto e invece di pensare: “Voglio assolutamente visitarlo”, dentro di me pensavo: “Voglio assolutamente costruire cose così”. E così ci investii tutto il mio tempo, mi laureai, presi un dottorato al Carnegie Mellon, pensando che tutto ciò mi qualificasse al massimo a fare qualsiasi cosa. Poi spedii caterve di lettere con domanda di assunzione alla Walt Disney Imagineering, e loro mi mandarono le più dannate lettere di “vai-pure-all’inferno” che io abbia mai ricevuto. [Risate]. Sì, insomma, erano lettere del tipo: “Abbiamo preso in seria considerazione la sua domanda, ma al momento non abbiamo disponibile alcuna posizione che possa richiedere le sue particolari qualifiche”. Immaginate un po’: ricevere lettere così da un posto che è famoso in tutto il mondo per i suoi spazzini che puliscono le strade…[Risate]. Beh, per me fu un po’ un brutto colpo.

Ricordate, però: ogni ostacolo, ogni muro di mattoni, è lì per un motivo preciso. Non è lì per escluderci da qualcosa, ma per offrirci la possibilità di dimostrare in che misura ci teniamo. I muri di mattoni sono lì per fermare le persone che non hanno abbastanza voglia di superarlo. Sono lì per fermare gli altri. Bene, con un “avanti veloce” spostiamoci al 1991: all’Università della Virginia mettiamo a punto un sistema denominato “Realtà virtuale per cinque dollari al giorno”. Si trattava di una di quelle cose assolutamente spettacolari.

Quell’anno, da junior academic, ero terrorizzato. C’era Jim Foley… sì, voglio proprio raccontarvi questa storia. Foley conosceva il mio consigliere undergraduate, Andy Van Dam. Io dovevo tenere la mia prima conferenza ed ero assolutamente nel panico. Ebbene, quell’icona vivente della user interface community viene da me e senza preavviso alcuno mi abbraccia come un grande orso, e mi dice: «Questo è da parte di Andy». Ed è stato allora che ho pensato per la prima volta: “Forse posso farcela! Forse faccio parte del suo mondo”.

Questa è la storia e fu un successo tanto più inverosimile se si pensa che all’epoca per costruire una realtà virtuale occorreva avere come minimo mezzo milione di dollari. Tutti si sentivano demoralizzati perché i soldi non c’erano, mentre noi avevamo messo insieme, pezzo dopo pezzo, un sistema con circa cinquemila dollari in componenti, costruendo un sistema VR perfettamente funzionante. E la gente impazziva, si entusiasmava, pensava che il nostro fosse un bis del grande exploit del garage dell’Hewlett Packard, e cose così.

Insomma, ero lì a fare una conferenza, e il pubblico della sala pareva letteralmente impazzito. Durante la fase finale delle domande del pubblico, un tipo di nome Tom Furness, all’epoca un pezzo grosso nel campo della realtà virtuale, prende il microfono e si presenta. Io non sapevo che aspetto avesse, ma il suo nome lo conoscevo eccome! Mi rivolge una domanda e quando a me tocca rispondere gli dico: «Lei è Tom Furness? Prima di rispondere alla sua domanda, mi può dire se possiamo pranzare insieme domani?». [Risate].

Fu così che dopo un paio di anni Imagineering lavorava a un progetto di realtà virtuale, assolutamente top secret. Ancora negavano l’esistenza di un’attrazione con la realtà virtuale e già il dipartimento pubblicità mandava in onda spot in televisione. Insomma, Imagineering si era davvero appassionata alla cosa. Si tratta dell’attrazione di Aladino, quella nel quale si vola su un tappeto volante, con un display sulla testa, una cosa nota come “gator vision”. Non appena iniziano gli spot alla televisione, mi chiedono se posso dare qualche informazione al Segretario della Difesa sullo stato della realtà virtuale. Sì, proprio così: Fred Brooks e io siamo stati convocati per informare il Segretario della Difesa.

Questa per me è stata una scusa fantastica: ho chiamato Imagineering, ho detto loro quello che dovevo fare e ho chiesto che mi dessero del materiale, perché quello che stavano mettendo a punto era il miglior sistema di VR del mondo. Loro si sono tirati indietro. Al che io ho ribattuto: «Ma allora, tutto il patriottismo dei vostri parchi è soltanto una farsa?». A quel punto hanno ceduto. [Risate].

Mi comunicano però che il dipartimento delle Public Relation è nuovo e non ha materiale per me, quindi devo prendere contatti direttamente con il team che ha eseguito il lavoro. Bingo! Ecco quindi che mi ritrovo a telefono con un tipo di nome Jon Snoddy, una delle persone più impressionanti che io abbia mai conosciuto. Lui mi manda delle carte, parliamo brevemente a telefono e io a un certo punto gli dico: «Senta, mi troverò dalle sue parti per una conferenza, che ne dice se ci incontriamo e pranziamo insieme?». Il che, come tutti sapete, tradotto significa: «Le sto mentendo, le dirò che ho un’ottima scusa per capitare dalle sue parti, quindi non sia troppo in ansia, mi piacerebbe andare da Neptune a pranzo con lei». [Risate]. Jon mi risponde: «Certo!», e così trascorro circa 80 ore a parlare con tutti gli esperti di realtà virtuale del mondo, chiedendo loro che cosa vorrebbero, se potessero avere accesso a questo incredibile progetto. Poi mi compilo un bell’elenco, lo imparo a memoria – il che, come sanno tutti quelli che mi conoscono, è davvero incredibile, perché io non riesco mai a ricordare nulla, ma non è che potevo andare lì a dirgli con una vocina sottile “Aspetti, domanda numero 72”… - e per le due ore che durò quel pranzo, Jon deve aver pensato di essere alle prese con una persona fenomenale, perché tutto ciò che stavo facendo, in definitiva, era convogliare le idee di Fred Brooks, di Ivan Sutherland, di Andy Van Dam, e di Henry Fuchs e così via…è facile passare per persone brillanti quando si scimmiottano le persone brillanti!

Insomma, alla fine del pranzo con Jon, lascio cadere quella che nel gergo del business si chiama “La Domanda”. Gli dico: «Ben presto inizio un sabbatico». E lui mi chiede: «Che cosa?» [Risate]. Un bell’inizio davvero di uno scontro di culture…Così gli espongo la possibilità di andare a lavorare con lui. Soltanto che lui mi risponde che sì, sarebbe una buona idea davvero, se si esclude il fatto che io lavoravo per raccontare cose alla gente, mentre loro lavoravano mantenendo i segreti. Poi, però, aggiunge qualcosa degno di Jon Snoddy davvero: mi dice che ci avremmo potuto lavorarci sopra, e la cosa mi piace immensamente.

Un’altra cosa che ho imparato da Jon Snoddy – potrei andare avanti anche più di un’ora a raccontarvi ciò che ho imparato soltanto da Jon Snoddy – è questa: impara ad aspettare tutto il tempo che serve e la gente ti sorprenderà davvero. Mi ha spiegato che quando si è davvero stufi marci di qualcuno o si è arrabbiati con lui, significa solo che non si è concesso loro abbastanza tempo. Dategli più tempo e vedrete che quasi sempre vi stupiranno. Quando me lo disse, questa cosa mi colpì moltissimo. Me la sono sempre tenuto a mente e credo che avesse perfettamente ragione.

Ma veniamo al dunque: ci accordammo su un contratto legale. Sarebbe stato il primo: alcune persone vi accennavano dicendo che era il primo e ultimo pezzo di carta mai redatto da Imagineering. L’accordo prevedeva che io andassi, trovassi i miei finanziamenti, stessi con loro sei mesi, lavorassi a un progetto e insieme lo pubblicassimo. Ma ora conosciamo il “cattivo” della situazione. [Mostra una diapositiva di un suo ex rettore]. Non riesco a essere tutto latte e miele, perché non sarei credibile. Qui salta la testa di qualcuno…la testa che salta è quella di un rettore dell’Università della Virginia. Il suo nome non è così importante. Chiamiamolo rettore Wormer [Risate].

Allora, il Rettore Wormer ed io abbiamo un incontro nel corso del quale gli comunico di volermi prendere un sabbatico, gli dico che sono riuscito a far sì che quelli dell’Imagineering prendano un docente universitario, il che è pazzesco. Quello che voglio dire è che se Jon non fosse impazzito, questa eventualità non sarebbe mai stata presa in considerazione. Si tratta infatti di un’organizzazione molto segreta e riservata. Il rettore Wormer guarda le carte e mi dice: «Da quello che leggo potranno disporre della tua proprietà intellettuale». E io dico: «Sì, infatti, abbiamo raggiunto un accordo per pubblicare il lavoro». Non c’è un’altra proprietà intellettuale. Io non faccio cose brevettabili. E lui incalza: «Sì, ma potresti. Pertanto l’accordo salta. Vai da loro e digli di modificare quella clausoletta, poi torna qui da me». E io gli faccio: «Mi scusi? Ho capito bene? Vorrei che lei si rendesse conto di quanto è importante questa cosa. Se così non funziona, mi prenderò un periodo di congedo non retribuito, ma io andrò da loro e farò quello che intendo fare». Lui ribatte: «Ehi, potrei non permetterti una cosa del genere in nessun modo. Quello che voglio dire è che forse nella tua testa c’è già una proprietà intellettuale e forse te la “aspireranno”…» [Risate]. Credo sia molto importante capire quando ci si trova a giocare una partita davvero schifosa, perché così si capisce che è importante uscirne quanto prima possibile. Pertanto gli ho detto: «D’accordo, facciamo un passo indietro. Crede che sia una buona idea, comunque?». Lui mi risponde: «Non ho idea se è una buona idea…». Al che io [cambia tono, diventa sarcastico] gli faccio presente: «Bene, allora la pensiamo nello stesso modo…ma se questa è una faccenda di proprietà intellettuale non è proprio di sua competenza, non è così? Infatti, è di competenza del Rettore della ricerca sponsorizzata.». Lui conferma e io proseguo: «Ma se a lui stesse bene, a lei andrebbe bene?». E lui mi dice : «Sì, a quel punto mi starebbe bene». Al che io ….whoosh! Sparisco in una nuvoletta come Willy Coyote…mi precipito nell’ufficio di Gene Block, uno degli uomini più meravigliosi al mondo. Gli racconto tutto e gli propongono di partire da un alto livello per non essere costretto a fare marcia indietro di nuovo. Gli dico: «Iniziamo da qui: credi che sia una buona idea?» Lui risponde: «Se vuoi sapere se secondo me è una buona idea, posso soltanto dirti che non ne so molto. Tutto ciò che so è che uno dei miei docenti più brillanti è qui nel mio ufficio tutto entusiasta. Spiegami meglio».

Ecco, questa è un’altra lezione per chiunque faccia parte di un’amministrazione. Entrambi mi avevano chiesto la stessa cosa. Ma pensate un po’, hanno formulato la domanda in modo completamente diverso. Il primo [fa la voce tonante, sembra abbaiare] dice: «NON SO!». Il secondo invece [fa una vocina gentile] dice: «Non ho molte informazioni, ma visto che uno dei più brillanti docenti del mio corpo accademico è qui nel mio studio tutto entusiasta vorrei proprio saperne di più». Entrambi dicono in sostanza la stessa cosa, ma caspita! C’è modo e modo di dire le cose. Il modo giusto e il modo sbagliato. Ad ogni buon conto, alla fine riusciamo a risolvere tutto. Vado all’Imagineering. Gioia e delizia. Tutto è bene quel che finisce bene. Alcuni muri in realtà sono fatti di carne e ossa… Insomma, vado all’Imagineering e lavoro al Progetto Aladino. Assolutamente spettacolare. Davvero, incredibile.

Ed ecco a voi mio nipote Christopher. [Diapositiva di Christopher sulla macchina di Aladino]. Questo è l’apparecchio. Ci si siede su questa specie di chassis da motocicletta. Si gira il proprio tappeto volante e si indossa la cuffia con il display. Si tratta di qualcosa di davvero molto interessante, perché è formato da due parti, un design molto intelligente. Per offrire la massima prestazione, l’unica parte in contatto con la testa dell’utente è questa piccola cuffia e tutto il resto, tutto il costosissimo hardware, è attaccato ad essa. Quindi si poteva sostituire la cuffia per i vari utenti, perché in sostanza costavano davvero nulla da produrre. [Mostra una diapositiva nella quale pulisce una cuffia]. Ecco, in pratica questo è quello che ho fatto nel mio anno sabbatico: ero un pulitore di cuffie. [Risate]. Adoravo Imagineering. Era un luogo assolutamente spettacolare. Tutto ciò che io avessi mai sognato. Adoravo il laboratorio dei modellini. La gente si accalcava su oggetti delle dimensioni di questa sala. Era un luogo assolutamente incredibile nel quale passeggiare. Io ne traevo ispirazione. Ricordo che quando finalmente andai all’Imagineering, la gente mi chiedeva: «Non pensi che le tue aspettative siano troppo alte?». E io rispondevo: «Hai visto il film “Charlie e la Fabbrica di cioccolato? Willy Wonka e la Fabbrica di Cioccolato?”. Quando Gene Wilder dice al piccolo Charlie che sta per regalargli la fabbrica di cioccolato e gli fa: “Bene Charlie, ti hanno mai raccontato la storia del bambino che all’improvviso ottenne tutto ciò che desiderava?”. E Charlie spalanca gli occhi e dice: “No, che cosa gli è capitato?” E Gene Wilder gli risponde: “Ha vissuto per sempre felice e contento”». [Risate]. Ecco, lavorare per il progetto di virtual reality di Aladino è stata un’opportunità che capita soltanto ogni cinque carriere… e lo confermo. È stata un’esperienza che mi ha cambiato per il resto della mia vita. Non soltanto perché era un buon lavoro e io ne facevo parte, ma anche perché mi mise nella condizione di poter lavorare con gente vera e su questioni relative alla vera HCI, l’interazione uomo-computer. La maggior parte delle persone che lavorano su questo lo fanno nel chiuso dei laboratori, nel mondo fantastico dei colletti bianchi che hanno master e dottorati di ricerca. Ma finché non hanno del gelato sciolto che gli cola addosso, non fanno vera ricerca sul campo. Più di ogni altra cosa, da Jon Snoddy ho imparato come mettere insieme artisti e ingegneri, e questa è davvero una bella eredità. Abbiamo pubblicato l’articolo. Proprio un bello scandalo culturale accademico…quando abbiamo scritto l’articolo all’Imagineering hanno detto: «Mettiamo una grande foto. Come si farebbe in una rivista». [Mostra una diapositiva della prima pagina dello studio, con una foto in cima che occupa due colonne intere]. E il Comitato SIGCRAPH, che accettò l’articolo, ne ha fatto un mezzo scandalo: «Sono autorizzati a fare una cosa del genere?». [Risate]. Ma non c’erano regole! Così abbiamo pubblicato l’articolo e stranamente da allora la SIGCRAPH ha la tradizione di pubblicare grandi foto a colori in prima pagina. Insomma, ho cambiato il mondo, da un piccolo punto di vista. [Risate]

Poi, alla fine dei miei sei mesi, quelli dell’Imagineering vengono da me e mi chiedono: «Vuoi fare sul serio? Puoi restare». E io ho risposto di no. Una delle uniche volte in tutta la mia vita che ho stupito mio padre. Mi ha chiesto: «Che cosa hai detto? Da quando eri piccolo così [indica l’altezza di un bambino] hai sempre desiderato una cosa come questa e adesso che ce l’hai, abbandoni?». Nel cassetto della mia scrivania c’era un flacone di Maalox. Attenti a quello che state pensando…era un posto molto stressante. Imagineering in generale non è così pieno di Maalox…ma il laboratorio nel quale mi trovavo io! Jon se ne andò a metà del mio periodo e la situazione si era fatta alquanto simile all’atmosfera che si respira in Unione Sovietica. Per un certo periodo divenne anche rischiosa per me. Poi però la cosa si è risolta. Se mi avessero detto rimani o non rimetterai mai più piede in questo edificio, lo avrei fatto, me ne sarei andato e basta. Ma mi resero le cose assai semplici. Mi dissero che potevo avere quello che volevo. Potevo avere la torta e mangiarmela. Così, in sostanza per dieci anni sono diventato consulente dell’Imagineering un giorno alla settimana. Ecco, questa è una delle ragioni per le quali dovreste diventare tutti professori: perché potete avere la vostra torta e perfino mangiarvela. Così ho fatto da consulente su cose come DisneyQuest. C’era la Crociera Virtuale nella Giungla, e l’esperienza interattiva migliore che io abbia mai fatto – il merito va tutto a Jesse Schell - quella dei Pirati dei Caraibi. Meravigliosa DisneyQuest.

Bene, questi che vi ho raccontato erano i miei sogni d’infanzia. Non male. Sento di esserne soddisfatto.

A questo punto l’unica domanda possibile è in che modo posso far sì che si realizzino i sogni d’infanzia altrui. E ancora una volta la risposta è questa: sono contento di essere diventato un professore. Quale posto migliore esiste infatti per soddisfare i desideri dell’infanzia? Forse lavorare da EA, non so…sì, sicuramente questa sarebbe un’ottima seconda scelta. Tutto ciò ha avuto inizio quando mi sono reso effettivamente conto di poterlo fare, perché un giovanotto di nome Tommy Burnett, venne da me quando ero all’Università della Virginia e mi disse di essere molto interessato a unirsi al mio gruppo di ricerca. Così iniziammo a parlare e lui a un certo punto mi dice: «Ho un sogno sin dall’infanzia». È facile riconoscerli quando ti dicono queste cose. Io allora gli rispondo: «Sì, Tommy, qual è il tuo sogno dell’infanzia?». Lui prosegue: «Voglio lavorare al prossimo film di Guerre Stellari». Dovete chiaramente ricordare in che epoca accadeva tutto ciò… dove è Tommy? Tommy è qui tra noi oggi. Tommy, che anno sarà stato? Il tuo secondo anno di università? Beh, intorno al 1993. Al che io gli dico: «Tommy, guarda che probabilmente non faranno altri film della serie». [Risate]. E lui ribatte: «Ti sbagli, li stanno facendo». Tommy ha lavorato con me per molti anni prima della laurea e poi come membro del mio staff. Poi io sono venuto qui al Carnegie Mellon, e tutti i membri del mio team mi hanno seguito dalla Virginia al Carnegie Mellon fuorché Tommy, perché ha ricevuto un’offerta migliore. Ha lavorato davvero a tutti e tre i nuovi film di Guerre Stellari! Al che io gli dico: bene, è splendido, ma credo che realizzare i sogni di uno solo alla volta non sia propriamente efficiente. Chi mi conosce bene sa che sono un vero maniaco dell’efficienza. Così mi chiedo, non possiamo farlo in massa? Non posso far sì che la gente lavori in modo tale da poter vedere realizzati i propri sogni d’infanzia? Pertanto ho creato un corso specifico. Sono venuto qui al Carnegie Mellon e ho dato vita a un corso denominato “Costruzione di mondi virtuali”. È un corso molto semplice. Quante persone qui tra il pubblico vi hanno preso parte? [Alcune persone tra il pubblico alzano la mano]. Ok, quindi alcuni di voi ne hanno un’idea. Per coloro di voi che un’idea non l’hanno, le cose sono molto semplici. Ci sono una cinquantina di studenti scelti tra i vari dipartimenti dell’università. Del tutto casualmente sono assortiti per formare team di quattro persone, e prendono parte a tutti i progetti, uno dopo l’altro. Ogni progetto ha la durata di sole due settimane, pertanto ogni studente fa qualcosa, costruisce qualcosa, la mostra, poi io cambio a caso i gruppi ed egli ricomincia insieme a tre colleghi nuovi. Tutto questo accade ogni due settimane, pertanto nel semestre del corso si completano cinque progetti. Il primo anno che ho tenuto questo corso, sono andato molto di fretta, perché volevo constatare se eravamo effettivamente in grado di farlo. Avevamo appena imparato a fare texture mapping (metodo per aggiungere dettagli o colori a progetti grafici tridimensionali, Ndt) e già riuscivamo a fare cose mediamente accettabili. Ma per gli standard attuali usavamo computer davvero molto lenti e poco potenti. Nonostante ciò, mi ero ripromesso di provarci. Alla mia nuova università [ Carnegie Mellon ] feci un paio di telefonate chiedendo di poter trasformare il mio corso in un intercorso insieme ad altra gente. Nel giro di sole 24 ore l’avevo trasformato in un corso interfacoltà, al quale erano interessati cinque dipartimenti diversi. Mi piace questa universalità…insomma, questo è un luogo fantastico. Gli studenti mi chiesero quali contenuti volessimo sviluppare e io risposi che non ne avevo idea. «Fate tutto quello che vi pare. Ci sono soltanto due regole da rispettare: nessuna violenza – tipo sparatorie e killer vari – e nessuna pornografia. Non perché io sia contrario in particolare a queste due cose, ma perché è già stato fatto con la realtà virtuale, non vi pare?». Bene, voi non ne avete neppure un’idea, ma se si escludono queste due cose, i giovani di 19 anni sono del tutto privi di idee…[Risate e applausi].

Ad ogni modo, sono riuscito a insegnare quel corso. Ho assegnato loro un primo incarico e quando sono tornati da me dopo due settimane esatte mi hanno lasciato davvero a bocca aperta. Quello che avevano fatto andava talmente oltre le mie aspettative e la mia immaginazione…in sostanza, io avevo riprodotto i processi in uso nei laboratori dell’Imagineering, ma senza avere idea se si potessero realizzare con studenti non ancora laureati, e con strumentazioni e apparecchiature così insufficienti. Insomma, sono venuti da me con il loro primo progetto… era talmente spettacolare che dopo dieci anni di insegnamento mi sono ritrovato senza un’idea su come proseguire, che cosa far loro fare in seguito. Di conseguenza mi sono rivolto al mio mentore. Ho telefonato ad Andy Van Dam e gli ho detto: «Ho dato loro un incarico di sole due settimane e loro sono tornati da me con un progetto che se l’avessero realizzato in un semestre intero non basterebbe che assegnassi tutti A, il voto più alto. “Maestro”, che cosa mi consiglia di fare?». [Risate]. Andy ci ha pensato su un minuto, poi mi ha risposto così: «Domani vai in classe, li guardi negli occhi e dici: “Ragazzi, è andata abbastanza bene, ma io so che potete fare molto di più”». [Risate]. Beh, vi dirò: quello è stato davvero il consiglio giusto. In sostanza quello che mi aveva consigliato era questo: non sappiamo fin dove debba essere alzata l’assicella. È del tutto pretestuoso fissarla a un certo punto: nei confronti degli studenti si tratterebbe soltanto di un disservizio. Quello è stato davvero un ottimo consiglio, perché di fatto gli studenti hanno fatto molti progressi. Durante il semestre divenne una sorta di cosa segreta…entravo in classi che avrebbero dovuto contenere cinquanta studenti e ne trovavo 95, perché quello era il giorno in cui i ragazzi mostravano il frutto del loro lavoro, e quindi nell’aula c’erano i loro compagni di camera, i loro amici e i loro genitori!

Non mi era mai accaduto prima di avere in aula i genitori degli studenti. Era tutto molto lusinghiero, ma al tempo stesso mi teneva sulle spine anche un po’…stava diventando qualcosa di troppo grande da gestire, di cosa alquanto insolita e stravagante. Dovevamo condividerla con qualcun altro.

Se c’è una cosa che mi è stata insegnata sin da quando ero piccolo è condividere, e quindi mi sono detto che dovevamo assolutamente fare vedere quanto avevamo realizzato. Dovevamo organizzare un grosso show per la fine del semestre. Così abbiamo prenotato quest’aula, la McConomy. Ho tanti bellissimi ricordi legati a quest’aula. La prenotammo non perché pensavamo di poterla riempire, ma perché aveva le uniche apparecchiature audiovisive dell’università. Questo posto divenne una sorta di zoo…c’erano computer ovunque. Poi l’aula si riempì di gente. C’era addirittura gente che non riusciva a entrare, gente ammassata nei corridoi. Non dimenticherò mai il rettore di quel periodo, Jim Morris, seduto qui sul palco, più o meno lì. Alla fine abbiamo dovuto quasi buttarlo fuori. L’aula vibrava di energia, una cosa che non avevo mai provato prima. Il presidente Cohen, Jerry Cohen, era lì, e ha provato la stessa identica sensazione.

Più tardi mi ha detto che quell’esperienza gli aveva fatto venire in mente un raduno allo stadio di football dell’Ohio, senza i professori, beninteso. Si è fatto avanti e ha formulato la domanda giusta. Prima di iniziare, ha chiesto da dove venisse tutto quel pubblico. Ha chiesto espressamente di elencare di quali dipartimenti e facoltà fossero. Abbiamo proceduto quasi con ordine a elencarli, e tutte le facoltà e i dipartimenti erano rappresentati da gente del pubblico.

La cosa mi ha fatto sentire davvero molto soddisfatto: ero arrivato da poco al campus, anche lui era da poco al campus, e già avevamo la dimostrazione tangibile di poter unire tutto il corpo studenti.

La cosa mi ha procurato una sensazione meravigliosa. In pratica abbiamo fatto una dimostrazione a beneficio di tutto il campus. I ragazzi si esibivano laggiù: indossavano costumi e proiettavamo il tutto così, in modo tale che il pubblico potesse vedere bene. In pratica si poteva vedere quello che loro vedevano nella cuffia. Ci sono molti messaggi, e poi c’è questo ragazzo che fa water rafting [mostra la diapositiva di uno show di mondo virtuale]. Questo invece è Ben in una scena di “E.T.”. Avevo detto ai ragazzi che se non avessero preparato la scena dei bambini in bicicletta in volo verso la Luna li avrei bocciati…sì, è vero. Avevo pensato di farvi vedere una di queste dimostrazioni. Se è possibile, abbassate le luci, per favore…No? Ok, questo significa che non è possibile. D’accordo, faremo del nostro meglio. [Il pubblico assiste allo show di “Hello World”, girato durante il corso di realtà virtuale, e alla fine della proiezione applaude].

Sì, si è trattato di un corso veramente insolito, al quale hanno partecipato alcuni degli studenti più brillanti e creativi di tutto il campus. Per me è stata una vera gioia farne parte. Per quanto riguarda loro, devo riconoscere che hanno preso molto, forse fin troppo sul serio alcuni aspetti della dimostrazione per il pubblico [mostra diapositive degli studenti che indossano costumi davvero molto strampalati].

Ma una cosa è sicura: quello è stato l’avvenimento dell’anno per il campus. La gente si metteva letteralmente in coda per poter entrare. È stato molto gratificante e gli studenti hanno avvertito una sensazione di grande entusiasmo nell’allestire una dimostrazione-spettacolo per gente che ne andava entusiasta. Ecco, io credo che questa sia una delle cose migliori che si possano insegnare a qualcuno: la chance di dimostrare che cosa si prova facendo entusiasmare il prossimo. Si tratta di un vero dono, un dono meraviglioso. Noi cerchiamo sempre di coinvolgere il pubblico, che si tratti di dargli un bastone fluorescente o un pallone gonfiabile o ancora di farlo guidare [mostra la diapositiva di alcune persone del pubblico che nelle loro poltrone si inclinano come se stessero tenendo in mano il volante di un’automobile]. È davvero molto cool…

Questa tecnologia, per esempio, è stata utilizzata per la prima di “Spiderman 3” a Los Angeles: il pubblico era in grado di controllare una cosa che era proiettata sul schermo… davvero molto simpatico. Non ho una fotografia per ogni corso di ogni anno, ma ho ripescato tutte quelle che avevo e tutto ciò che posso dire è che è stato un vero onore e un privilegio insegnare questo corso per circa dieci anni. Ma tutte le cose belle hanno una loro fine. Circa un anno fa ho smesso di tenere quel corso.

Mi chiedono spesso quale è stato il momento migliore, quello che preferisco ricordare.

Non so se si possa avere un momento del genere, ma di sicuro ce n’è uno che non dimenticherò mai. Si trattava di un mondo virtuale con quello che credo fosse un ninja che andava sui roller. Una delle regole che avevamo era che queste dimostrazioni dovevano essere live e dovevano funzionare davvero. Non appena smettevano di funzionare, si ricorreva alla registrazione fatta per backup. Ma la cosa, ovviamente, diventava molto imbarazzante. [Mostra un’immagine della presentazione del Roller Ninja World]. Allora, sul palcoscenico sale il ninja e si mette ad andare sui roller, e a un certo punto non è che cade gentilmente, si schianta! Credo fosse Steve Audia, non è così? Dove sei? C’è Steve? Ah, sì, eccoti lì, il mio uomo… Steve Audia! Bene, allora io mi avvicino a lui e gli dico: “Scusa Steve, mi dispiace ma il tuo mondo virtuale è fallito, dobbiamo usare la videoregistrazione”. E lui sfodera la sua spada da ninja, esclama: “Che disonore! Ahimé!”, e crolla a terra. [Applausi e risate].

Credo sia molto rivelatore il fatto che il momento migliore in dieci anni di questo corso di alta tecnologia sia stata questa performance estemporanea! Poi, al termine della videoregistrazione, le luci si sono accese, e Steve se ne stava ancora lì, sul palco, esanime, e i suoi compagni lo hanno trascinato fuori! [Risate]. Insomma, è stato un episodio fantastico.

Il corso si basava interamente sulla capacità di stringere rapporti di collaborazione e amicizia. A chi mi chiedeva quali fossero le caratteristiche necessarie a dar vita a un buon mondo virtuale, io rispondevo sempre di poter capire a priori se il mondo virtuale creato dagli studenti era buono soltanto osservando il loro linguaggio corporeo: se stavano gli uni accanto agli altri, si trattava sicuramente di qualcosa di buono. Il corso di “Mondi di realtà virtuale” è stato un corso pionieristico. [Indossa un costume dal quale spuntano alcune frecce conficcate nel dorso]. Non intendo seccarvi con tutti i dettagli, ma non è stato così semplice farlo. Quando ho abbandonato l’insegnamento di questo corso di tecnologia mi hanno regalato questo costume, che credo sia molto emblematico. Significa che se fai qualcosa che è davvero pionieristico, ti ritroverai con queste frecce conficcate nella schiena e dovrai far buon viso a cattivo gioco. Tutto ciò che poteva andare storto è andato storto, ma in definitiva moltissime persone si sono davvero divertite tantissimo.

Quando per dieci anni fai qualcosa che consideri così prezioso e inestimabile, è davvero difficilissimo passare il testimone. L’unico consiglio che vi posso dare al riguardo è questo: per passare il testimone trovate qualcuno che sia migliore di voi. Ed è questo ciò che io ho fatto. C’era un tipo negli studi di VR e dopo poco che ti trovavi nella sua orbita non potevi che dedurne che era una persona molto competente. Uno dei miei più grossi risultati a beneficio del Carnegie Mellon credo sia stato aver convinto Jessica Hodgins e Jesse Schell a unirsi al corpo insegnante della nostra università. Mi sono davvero entusiasmato quando ho passato il testimone a Jesse, e non mi sorprende che egli sia riuscito a portare il corso a un livello ancora superiore. Il corso è in mani più che buone, in mani migliori. Ma è soltanto un corso. E noi lo abbiamo portato a un ottimo livello. Abbiamo creato quella che io definirei la fabbrica dell’esaudimento dei sogni. Don Marinelli e io ci siamo messi d’accordo, e con il beneplacito dell’università e con il suo incoraggiamento, abbiamo creato dal nulla qualcosa di assolutamente pazzesco. Che non sarebbe mai stato provato altrimenti. Tutte le università che hanno la testa a posto non hanno niente che si avvicini neanche lontanamente a questo. Il Centro di Tecnologia dell’Intrattenimento si basava sul lavoro di artisti e esperti di tecnologia che operavano in piccole unità per costruire e creare. Era un master professionale di due anni. Don e io eravamo due spiriti affini, ma siamo molto diversi. Chiunque ci conosca anche soltanto un poco vi potrà dire che siamo molto diversi. Tuttavia ci piaceva fare le cose in modo innovativo e forse la verità è che entrambi ci sentivamo un po’ a disagio nell’ambiente accademico. Ero solito dire un tempo che per quanto mi riguarda sono un poco a disagio come docente universitario perché provengo da una famiglia che lavorava per vivere, quindi… [Risate nervose]. Sì, sì, ho colto le vostre risate nervose!

Ma voglio ribadire una cosa: Carnegie Mellon è l’unico posto al mondo nel quale poteva esserci un Centro di Tecnologia dell’Intrattenimento. L’unico posto al mondo, davvero. [Mostra una diapositiva nella quale Don Marinelli, con camicia in tintura chiné, occhiali e una chitarra elettrica, è seduto su una scrivania accanto a Randy, che fissa un laptop con indosso occhiali da intellettualoide e una camicia button-up. Sopra le loro teste c’è la scritta: “Cervello destro/Cervello sinistro”] [Risate].

Ok, la foto è stata un’idea di Don, e ci riferiamo a questa chiamandola “Don Marinelli alla chitarra e Randy Pausch alla tastiera”. [Risate]. In realtà abbiamo usato davvero il cervello destro e il cervello sinistro e le cose sono andate alla grande. [Mostra una diapositiva di Don con lo sguardo intenso]. Don è un tipo molto concentrato. Ci dividevamo uno stesso ufficio, e all’inizio si trattava di un ufficio molto piccolo. Sapete, considerata la mia situazione attuale, c’è chi a volte mi chiede…sì, sto per fare una battuta terribile, ma la farò ugualmente, perché so che Don mi perdonerà. Alcune persone mi chiedono, vista la situazione nella quale mi trovo attualmente: «Pensi che andrai all’inferno oppure in paradiso?». E io in genere rispondo: «Non saprei, ma se mi toccherà andare all’inferno spero proprio che mi scontino i sei anni che ci ho già passati!». [Risate]. Scherzo…Condividere l’ufficio con Don è stato davvero come condividerlo con un tornado. C’era sempre un sacco di energia nell’aria, non si aveva idea di quello che stava per arrivare, ma si poteva essere sicuri che in qualsiasi momento c’era qualcosa di davvero entusiasmante che sarebbe capitato di lì a poco. Pertanto, per come la vedo io, se Don e io dobbiamo dividerci il merito per il successo dell’ETC, è a lui che chiaramente spetta la parte del leone. [Mostra una diapositiva di un grafico diviso al 70 per cento a Don e al 30 per cento a Randy]. È stato lui a fare la parte del leone con il lavoro, e ha avuto più idee. Ad ogni modo abbiamo formato un bel gruppo di lavoro. Siamo stati un po’ come lo Yin e lo Yang, anche se ad essere giusti, dovrei dire YIN e yang! Lui si merita tutto il credito possibile e io glielo riconosco, perché l’ETC è un luogo meraviglioso. Adesso è lui a dirigerlo e lo sta rendendo globale. Ne parleremo tra breve. Descrivere l’ETC è molto difficile, ma finalmente ho trovato una metafora che mi può aiutare. Descrivere l’ETC è un po’ come descrivere il Cirque de Soleil a qualcuno che non l’ha mai visto. Prima o poi so che commetterete l’errore di definirlo un circo. Poi vi lascerete andare a parlare di quante tigri, quanti leoni, quanti trapezisti ci sono… ma sareste lontani, lontanissimi dalla realtà. Pertanto quando diciamo che questo è un master, non è in effetti simile a nessun master che abbiate conosciuto. Questo è il curriculum di studi previsto. [Mostra la diapositiva del curriculum di studi previsto per l’ETC, nel quale compare la scritta “Project Course” come unica voce per ogni semestre. Il pubblico ride]. Alla fine il curriculum si è evoluto così. [Mostra una dispositiva con qualche raro dettaglio in più].

Tutto quello che sto cercando di comunicarvi visivamente è che prima ci sono cinque progetti di Costruzione di Mondi Virtuali, poi se ne aggiungono altre tre. La maggior parte del tempo la si trascorre in piccoli gruppi a costruire qualcosa. Non c’è nulla da studiare sui libri. Don e io non abbiamo avuto la pazienza di includere l’apprendimento sui libri. Si tratta di un master. Chi lo frequenta ha già trascorso quattro anni sui libri e per allora deve ormai averli assimilati tutti. La chiave del successo è una sola: Carnegie Mellon ci ha lasciato carta bianca, completamente. Non avevamo nessun preside di facoltà al quale riferire. Rispondevamo del nostro operato direttamente al rettore, il che è un bene, visto che di solito i rettori sono troppo impegnati per tenervi d’occhio con attenzione. [Risate] Ci era stata concessa esplicita licenza di rompere gli schemi. Tutto era finalizzato al progetto, che era intenso e divertente. Abbiamo fatto perfino delle gite! Ogni mese di gennaio prendevamo tutti i cinquanta studenti iscritti al primo anno e li portavamo alla Pixar, all’Industrial Light and Magic, e quando in posti del genere hai gente come Tommy ad accoglierti, è abbastanza facile avervi accesso.

Insomma, abbiamo fatto ogni cosa in modo molto diverso rispetto alla norma. I progetti degli studenti appartenevano al genere che noi chiamavamo “edutainment” (intrattenimento finalizzato a educare e a divertire, Ndt). Abbiamo messo a punto tutta una serie di strumenti per il Dipartimento dei Vigili del fuoco di New York, per esempio, un simulatore network per addestrare i vigili del fuoco, utilizzando una tecnologia tipo quella dei videogiochi per insegnare alla gente qualcosa di molto utile. Niente male…Le varie aziende facevano cose molto insolite, mettevano per iscritto che si impegnavano ad assumere i nostri studenti. Qui ci sono quelli che lavorano per EA e Activision. Penso che ormai siate…quanti? Cinque? Drew lo sa, ci scommetto. [Drew Davison, capo di ETC-Pittsburgh indica con la mano che sono cinque]. Ecco, ci sono cinque accordi nero su bianco. Per quanto ne so non esiste un’altra scuola che abbia questo tipo di accordi per iscritto con le aziende. Vere e proprie promesse. E tutto ciò, ovviamente va moltiplicato di anno in anno, di conseguenza promettono di assumere gente per gli internati estivi che noi non abbiamo ancora ammesso. Questo la dice lunga sulla qualità del programma, mi pare. Come vi ho detto, Don è pazzo, in un modo meravigliosamente complementare. Questa sera non è qui con noi perché è a Singapore, dove sta per aprire un campus ETC. Ce n’è già uno in Australia e ce ne sarà un altro in Corea. Vedete? Sta diventando veramente un fenomeno globale. Penso che questo la dica davvero lunga sulle altre università: Carnegie Mellon è l’unica in grado di fare una cosa del genere. Adesso non ci resta che portarla in tutto il mondo.

Un altro grosso successo dell’ETC è insegnare alla gente l’importanza dei feedback. [Rimette una diapositiva nella quale compare un grafico e i nomi degli studenti, cancellati per mantenere la loro anonimità, compaiono in un elenco che si intitola: “Quanto è facile lavorare con…”].

Sento in giro qualche risata nervosa da parte degli studenti: mi ero dimenticato dell’effetto di terapia shock a posteriori che si ha con questi grafici. Quando si frequenta il corso di Building Virtual Words, ogni due settimane si ha un feedback da parte dei propri compagni. Inseriamo i dati in un grosso foglio elettronico e alla fine del semestre, dopo aver avuto tre compagni per progetto, per cinque progetti, significa avere quindici giudizi statisticamente validi. Si ottiene quindi un grafico nel quale il nome di ciascuno studente scopre quanto sia facile o difficile lavorare con lui. Beh, è un feedback molto difficile da ignorare! Alcuni, tuttavia, ci sono riusciti molto bene. [Risate]. Ma in linea di massima, tutti hanno osservato il grafico e hanno pensato: “Wow, devo proprio migliorare. Farò bene a iniziare a pensare che cosa dire a queste persone nei nostri meeting”. Ebbene, questo è il miglior regalo che un educatore possa fare ai suoi studenti: farli riflettere su se stessi.

L’esperienza dell’ETC è stata meravigliosa, ma mentre grazie a Don sta iniziando a diventare globale, è sicuramente un’esperienza faticosa e intensa. Non si tratta di tanti Tommy presi uno alla volta. Né di un gruppo di ricerca di una decina di studenti alla volta. Si tratta di 50-100 studenti per campus per quattro campus. Io volevo qualcosa di questo tipo: qualcosa che potesse essere esteso fino a milioni o perfino decine di milioni di persone, in modo tale che tutte potessero dare la caccia ai loro sogni grazie a qualcosa di preciso. Del resto, immagino che questo tipo di obiettivo che mi sono prefisso faccia sicuramente di me un Cappellaio Matto. [Indossa il cappello verde a cilindro del Cappellaio Matto] E infatti Alice è un progetto al quale abbiamo lavorato per molto, moltissimo tempo. È un modo del tutto inedito di insegnare a programmare un computer. I ragazzi adorano i film e i giochi. Le finte …ci risiamo. Il miglior modo per insegnare qualcosa a qualcuno è far sì che pensi di imparare un’altra cosa. Io l’ho fatto per tutta la mia carriera. La finta qui consiste nel fatto che loro imparano a programmare, credendo che stanno semplicemente facendo dei film o dei videogame. Questo strumento è stato già scaricato oltre un milione di volte. Ci sono otto libri di testo che ne parlano. Il dieci per cento dei college degli Stati Uniti lo utilizza. E non è ancora perfetto. La versione perfetta sarà quella prossima ventura.

Al pari di Mosè, anche io vedo la Terra Promessa, ma non vi metterò piede. Ma va bene così, perché posso vederla. E la vedo anche distintamente.

Milioni di bambini nel mondo oggi si divertono imparando qualcosa che in realtà è difficile. Davvero fantastico! Posso considerarla la mia eredità. La versione prossima ventura uscirà nel 2008. Insegnerà loro il linguaggio Java, ammesso che vogliate che sappiano che stanno imparando Java. Altrimenti, penseranno semplicemente di scrivere una sceneggiatura per un film. Stiamo prendendo i personaggi dal miglior videogame besteller per Pc della storia, The Sims.

In laboratorio sta già funzionando a dovere, quindi non vi è alcun rischio tecnologico. Non ho il tempo materiale di ringraziare e ricordare il nome di tutti coloro che hanno lavorato nel team di Alice, ma vorrei quanto meno dire che chi ha realizzato tutto ciò è Dennis Cosgrove. È lui il designer. Alice è la sua creatura. E per coloro che si stanno chiedendo: “Bene, a chi devo mandare un messaggio di posta elettronica per il progetto Alice”…dove sei, Wanda Dann? Ah, eccoti lì. Per favore alzati in piedi, fatti vedere. Dite tutti: “Ciao Wanda”.
Il pubblico
: «Ciao Wanda».

Randy Pausch: mandate a lei quel messaggio. Parlerò anche un poco di Caitlin Kelleher, che ha preso il suo PhD e al momento è all’università di Washington. In conclusione: Alice è stata un grande progetto, una grande visione, e nella misura in cui una parte di noi continua a vivere in qualcosa, io sarò in Alice.

Eccoci adesso alla terza parte della nostra chiacchierata, quella riguardante le lezioni imparate.

Abbiamo parlato dei miei sogni. Abbiamo parlato di come aiutare il prossimo a realizzare i propri sogni. Da qualche parte, lungo il cammino di ognuno, deve esserci qualcosa che ci consente di realizzare i nostri sogni. Questa che vedete è mia madre, nel giorno del suo settantesimo compleanno. [Mostra una diapositiva di sua madre che guida un’automobile in un Luna Park] [Risate] Io sono qui, alle sue spalle, sono stato appena catapultato fuori…Questo invece è mio padre, sulle montagne russe il giorno del suo ottantesimo compleanno. [Mostra una diapositiva del padre sulle montagne russe]. Qui si vede che non soltanto era coraggioso, ma aveva anche talento perché quello stesso giorno ha vinto quel grosso orso. Mia padre era così pieno di vita. Ogni cosa per lui era un’avventura. [Mostra una diapositiva di suo padre con in mano un sacchetto di carta]. Non so che cosa contenesse quel sacchetto, ma so che doveva essere una cosa proprio fantastica. Mio padre si vestiva da Babbo Natale, ma faceva anche moltissime altre cose per aiutare il suo prossimo. Questo è un dormitorio in Tailandia che mio padre e mia madre sovvenzionavano. Ogni anno trenta ragazzi, che non ne avrebbero mai avuto la possibilità altrimenti, possono frequentare la scuola. Questo è un progetto al quale mia moglie e io ci siamo dedicati tantissimo.

Queste sono le cose che dovrebbe fare la gente: aiutare il prossimo.

Ma la storia migliore che posso raccontare di mio padre è un’altra. Purtroppo mio padre è mancato poco più di un anno fa. Mentre sistemavamo le sue cose – aveva combattuto nella Seconda Guerra Mondiale, nella Battaglia di Bulge – abbiamo trovato una Stella di Bronzo al Valore. Mia madre non ha mai saputo di questa medaglia. In cinquanta anni di matrimonio non è mai saltata fuori. Mia mamma…[Mostra una diapositiva di se stesso bambino, mentre tira i capelli alla madre]. Le madri sono quelle persone che ti amano anche se tu tiri loro i capelli…

Ho due splendide storie anche su mia madre. Quando io ero qui a studiare per prendere il mio dottorato, preparandomi a una cosa che si chiama “Teoria qualificativa” – che posso assicurarvi essere la seconda cosa peggiore della mia vita, dopo la chemioterapia – [Risate], mi lamentavo con lei di quanto fosse difficile questo esame, e di quanto fosse spaventoso. Lei si inclinò verso di me, mi diede un buffetto sulle spalle e mi disse: «Sappiamo bene come ti senti, tesoro, ma ricorda, tuo padre alla tua età combatteva contro i tedeschi». [Risate]. Una volta preso il mio dottorato, mia madre adorava presentarmi dicendo: «Questo è mio figlio, è un dottore, ma non quel genere di dottore che aiuta la gente». [Risate]

Queste diapositive sono un po’ scure, ma quando ero al liceo decisi di dipingere la mia camera. [Mostra le diapositive della sua camera].

Avevo sempre desiderato un sottomarino e un ascensore…e la cosa più incredibile di tutto ciò è che i miei mi permisero di dipingerli! [Mostra le dispositive della sua stanza con le pareti dipinte e una formula matematica scritta sul muro]. Non si arrabbiarono per questo. Ed è ancora lì, come l’ho lasciata io. Se andate nella casa dei miei genitori la troverete proprio così. A chiunque sia qui presente ed è un genitore, raccomando una cosa sola: se i vostri figli vogliono dipingersi la loro camera, lasciate che lo facciano, fatemi questo piacere personale. Andrà tutto bene. Non preoccupatevi del prezzo al quale un giorno potrete rivendere la vostra casa.

Quali altre persone ci aiutano oltre ai nostri genitori? I nostri insegnanti, i nostri mentori, i nostri amici, i nostri colleghi. Dio mio, che cosa posso dire di Andy Van Dam? Quando ero uno studente del primo anno lui era in congedo. Sentivo parlare soltanto di lui, Andy Van Dam. Per me era una sorta di creatura mitica. Come un centauro…ma un centauro davvero particolare. Tutti erano tristi perché lui non c’era, ma per così dire erano anche forse più rilassati. E ho scoperto perché. L’ho scoperto perché ho iniziato a lavorare per lui. Diventai suo assistente quando ero studente del secondo anno. Ero un giovanotto alquanto arrogante. Alla sera facevo qualche ora, intorno alle nove, e Andy era lì. Già questo dovrebbe farvi capire che tipo di professore era. Io arrivavo bel bello, con quell’aria da “eccomi qui, sono pronto a salvare il mondo”. C’erano tutti quei ragazzini che volevano il mio aiuto…e così via. In seguito Andy mi ha “olandesizzato”. Sì, insomma… lui è olandese. Mi ha messo un braccio sulle spalle e siamo andati a farci un giretto. Mi ha detto, testualmente: «Randy, è un tale peccato che la gente ti consideri così arrogante! Questo potrà porre dei limiti a ciò che sarai in grado di combinare nella vita». Che cavolo di modo di dirti: «Sei un autentico stronzo». [Risate]. Non è vero, forse? Non mi ha detto: «Sei un stronzo». Mi ha detto: «La gente ti considera così e questo potrebbe porre dei limiti a quello che sarai capace di combinare». Quando poi ho conosciuto meglio Andy, le batoste sono arrivate molto più dirette, ma [Risate] potrei raccontarvi aneddoti su Andy per un mese…. ve ne racconterò uno solo. Quando è arrivato il momento di iniziare a pensare di laurearmi a Brown, non mi era assolutamente venuto in mente, neppure in un milione di anni, di andare a fare un master. Proprio non ci pensavo. Non era quel genere di cose che faceva la gente della mia famiglia. La mia famiglia cercava… come si chiama? Ah, sì, un posto di lavoro. Invece Andy mi dice: «No, non farlo, prenditi un dottorato, diventa professore». E io gli ho chiesto: «Perché?». «Perché sei uno che si sa vendere così bene che qualsiasi azienda che voglia assumerti ti farà fare il venditore. Quanto meno potresti benissimo vendere qualcosa di utile come l’istruzione». [Pausa lunghissima. Si rivolge direttamente a Andy Van Dam]. Grazie.

Andy, per così dire, è stato il mio primo capo. Sono stato abbastanza fortunato da avere numerosi capi [varie diapositive di vari capi]. Quel cerchietto rosso è… Al è qui. [risate]. Non so che cosa sia successo qui. Probabilmente sta guardando girare un webcast…non so, sta prendendo la mira e non sa come…[Risate]. Non voglio dire di più sui meravigliosi capi che ho avuto, tranne il fatto che sono stati grandi.

So che moltissime persone nel mondo hanno avuto pessimi superiori, ma io non sono dovuto passare attraverso nulla del genere. Sono molto grato a tutte le persone per le quali ho lavorato. Sono state assolutamente incredibili. Non è soltanto dai nostri superiori che impariamo, impariamo anche dai nostri studenti. Penso che la prima finta di tutti i tempi sia stata quella di Caitlin Kelleher, anzi, mi scuso, la dottoressa Caitilin Kelleher, che ha appena finito il dottorato e sta iniziando a lavorare alla Washington University. Quando ha visto Alice la prima volta, che era un mezzo molto facile per imparare a programmare un pc, ha detto: «Sì, ma che divertimento c’è?». E io le ho risposto qualcosa come: «C’è che io sono un maschio incorreggibile e mi piace vedere i soldatini che obbediscono ai miei ordini. Questo è il divertimento». E lei fa: «Mmm», molto perplessa. Poi ha detto: «No, meglio approcciarci come se fosse un’attività diversa, raccontando storie per esempio». E ha svolto un lavoro eccellente dimostrando che se la si presentava come un’attività di scrittura creativa, specialmente le ragazzine delle medie erano perfettamente disponibili a imparare a usare il software del computer. Quindi, il premio di miglior finta è aggiudicato alla dissertazione di Caitlin Kelleher!

Il presidente Cohen, quando gli ho detto che avrei fatto questo discorso, mi ha detto: «Per favore, di’ loro di divertirsi, perché questo è ciò che di te ricorderò sempre». Io gli ho risposto che l’avrei fatto, ma che sarebbe stato un po’ come per un pesce parlare di acqua. Insomma, io non sono capace di non divertirmi…sto per morire e mi sto divertendo. E continuerò a divertirmi ogni giorno che ancora mi resta da vivere. Perché non c’è un altro modo per farlo. Di conseguenza, il mio prossimo consiglio è molto semplice: sta a voi decidere se volete essere Tigro o Ih Oh [Mostra le diapositive delle immagini dei due personaggi di Winnie the Pooh]. Credo sia molto chiaro da che parte sto io, nel dibattito “Tigro versus Ih Oh…”[Risate]. Non perdete mai la capacità di stupirsi tipica dei bambini. É troppo importante. É quella a spingerci ad andare avanti, ad aiutare gli altri.
Denny Proffitt: sa molte più cose su come aiutare il prossimo. E ha dimenticato molte più cose di quante io ne saprò mai. Mi ha insegnato, per esempio, come dirigere un gruppo di persone, come prendermi cura di loro.
Per quanto riguarda M.K.Haley ho una mia teoria sulle persone che provengono dalle famiglie numerose: sono persone migliori degli altri, perché hanno dovuto imparare come andare d’accordo con gli altri. M. K. Haley proviene da una famiglia di venti figli. [Esclamazione di stupore di tutto il pubblico]. Sì, è così, davvero incredibile. M.K.Haley dice sempre che è divertente fare l’impossibile. Quando sono entrato all’Imagineering, era una delle persone che mi hanno messo al mio posto. Mi disse: «Mi risulta che sei entrato a far parte del progetto Aladino. Che cosa sai fare?». E io rispondo: «Beh, sono un professore di ruolo in informatica». E lei: «Molto bene, professorino, ma non è questo ciò che ti ho chiesto. Voglio sapere: “Che cosa sai fare?”». [Risate]

Allora, ho parlato delle mie radici. Ciascuno di noi conserva ciò che reputa di valore, ciò che ci è più caro. E io ho conservato il mio blusotto del liceo per tutti questi anni. [Indossa il blusotto del liceo con gli stemmi]. Ero solito indossarlo all’università e una delle mie amiche, Jessica Hodgins, un giorno mi chiede: «Come mai indossi sempre quel blusotto?». Io mi sono guardato in giro, ho guardato tutti i tipi non atletici che mi circondavano ed erano tutti più eleganti di me. Poi ho detto: «Perché io posso». [Risate]. Lei ha creduto che la cosa fosse veramente spassosa, e un anno fa mi ha regalato questa bambola Raggedy Randy Doll [tira fuori la bambola di stoffa] [Risate]. Come vedete indossa anche lei un blusotto del liceo! Bene, questo è stato il mio regalo preferito in assoluto. È un regalo perfetto per tutti gli egocentrici che conoscete.

Insomma, ho conosciuto così tante persone meravigliose lungo il mio cammino. La fedeltà è una strada a doppio senso. C’era una volta un giovanotto dell’Università della Virginia, si chiamava Dennis Cosgrove…diciamo che le cose capitano…Un giorno mi sono ritrovato a parlare col preside di facoltà. No, non QUEL PRESIDE… Ad ogni modo, quel preside ce l’aveva davvero molto con Dennis, e non sono mai riuscito a capire perché, in quanto Dennis era davvero un bravo ragazzo. Ma per qualche ragione oscura, quel preside non lo sopportava. E io a un tratto mi ritrovo a dirgli: «Garantisco per lui». Il preside mi guarda fisso negli occhi e mi dice: «Ma come? Ancora non sei nemmeno di ruolo e mi vieni a dire che garantisci per questo studente del secondo o del primo anno?». Credo fosse al primo anno. E io subito: «Certo, garantisco per lui perché credo in lui». Il preside commenta: «Mi ricorderò di questa cosa quando si discuterà la tua nomina a professore di ruolo». E io imperterrito: «D’accordo». Poi sono andato subito a parlare a Dennis e gli ho detto: «Apprezzerei molto se tu fossi davvero molto bravo». Sì, la fedeltà è una strada a doppio senso di marcia. Sono passati secoli ormai da allora, ma è sempre lo stesso Dennis Cosgrove che adesso sta portando avanti Alice. È con me da allora e se io dovessi scegliere un’unica persona incaricata di salire su una navicella spaziale e andare a un appuntamento con gli alieni, sceglierei Dennis. [Risate].

Non è possibile fare un discorso al Carnegie Mellon senza ringraziare e rendere merito a una persona davvero speciale. Si tratta di Sharon Burks. Ho scherzato un po’ con lei. Le ho detto: «Guarda che se vai in pensione, non vale più la pena vivere».

Sharon è così meravigliosa da non poter essere descritta e per tutti noi che siamo stati aiutati da lei è decisamente indescrivibile.

Mi piace questa foto perché qui compare con Syl, e Syl è fantastica, perché mi ha dato il miglior consiglio che io abbia mai sentito. Penso che tutte le giovani ragazze dovrebbero ascoltarlo. Syl mi disse – mi ci è voluto molto tempo per capirlo, ma alla fine ci sono arrivato- : «Quando ci sono degli uomini romanticamente interessati a te, è facilissimo sapere come comportarsi. Ignora qualsiasi cosa dicano e presta attenzione soltanto a ciò che fanno. Semplice, no?». E io ripensando ai miei giorni da scapolo ho esclamato: «Dannazione!». [Risate]

Non mollate mai. Io non ero entrato alla Brown University. Ero nella lista d’attesa. Telefonavo e un bel giorno hanno deciso che stava diventando una vera seccatura ricevere una mia telefonata ogni santo giorno, così mi ammisero.

A Carnegie Mellon non sono entrato, ma Andy mi ha fatto da mentore. Mi ha detto: «Devi fare il dottorato, quindi devi andare a Carnegie Mellon. Tutti i miei migliori studenti vanno a Carnegie Mellon». Già sapete quello che sto per dirvi…quello che si era dimenticato di dirmi era quanto fosse diventato ancora più difficile entrare nel programma di dottorato più difficile del Paese. E inoltre non sapeva il punteggio che avevo avuto al Gre (test di ammissione per i master e i dottorati Usa, Ndt). Il che, visti i miei brutti voti, era davvero molto stupido. Così non ce la feci a entrare a Carnegie Mellon. Nessuno lo sa. Ecco: «Oggi rivelo al mondo che non sono stato ammesso a Carnegie Mellon». Ma ero anche un ragazzo insopportabile. Vado nell’ufficio di Andy, faccio per poggiare sulla scrivania la lettera con la quale mi comunicavano che non ero stato ammesso, e nel frattempo gli dico: «Vorrei tu sapessi a che cosa servono le tue lettere di raccomandazione a Carnegie Mellon». [Risate]. E prima ancora che il foglio di carta atterri sulla sua scrivania, lui sta già componendo un numero a telefono e mi dice: «Lascia che sistemi questa cosa». [Risate]. E io: «No, no, no! Non voglio che le cose vadano così. Non è così che mi hanno insegnato». Poi, con voce più triste, continuo: «Forse qualche altra scuola mi riterrà idoneo». [Risate]. E Andy: «Senti, Carnegie Mellon è l’unico posto dove devi andare. Sai che cosa facciamo? Facciamo un patto. Vai a visitare le altre università e se poi non ti piaceranno o non ti sentirai a tuo agio mi farai fare questa telefonata a Nico, d’accordo?». Nico, beninteso, era Nico Haberman [Capo del dipartimento di informatica di Carnegie Mellon]. E io concludo: «Ok, d’accordo».

Così sono andato nelle altre scuole… non le nominerò certo….[tossicchiando e coprendo la voce le elenca] Berkeley, Cornell…Tutte riuscirono a essere così poco accoglienti che mi ritrovai a dire ad Andy che mi sarei cercato un posto di lavoro. «No, assolutamente» fa Andy. Prende in mano la cornetta, compone un numero e si mette a parlare in olandese. [Risate]. Poi rimette a posto la cornetta e mi dice: «Nico dice che se fai sul serio devi essere nel suo ufficio domattina alle otto in punto». Coloro che conoscono Nico lo sanno: non c’è niente di meglio per incutere timore. La mattina dopo, alle otto in punto, sono nell’ufficio di Nico Haberman. Mi parla e francamente penso che non è affatto entusiasta di quell’incontro. Non è entusiasta per niente. Mi chiede: «Randy perché siamo qui?». Io rispondo: «Perché Andy ti ha telefonato?». Ha, ha ha. [Risate]. Poi aggiungo: «Poiché mi ha ricevuto, le dirò che ho vinto una fellowship (borsa di studio per ricercatori, Ndt). E la Office of Naval Research è una fellowship molto prestigiosa. L’ho vinta e quando ho fatto richiesta di ammissione non c’era sul mio curriculum». E Nico dice: «Una fellowship? E che ce ne facciamo? Soldi…siamo pieni di soldi.». Beh, questo era vero allora… comunque, mi dice che sono pieni di soldi. «Perché credi che una fellowship dovrebbe fare la differenza per noi?» mi chiede e mi guarda fisso. Ci sono momenti nella propria vita destinati a cambiartela per sempre. A dieci anni di distanza sei fortunato se ti rendi conto di quale possa essere stato quel momento, ma saperlo nel momento preciso …mentre Nico ti guarda dentro, fino in fondo all’anima…[Risate]. E io gli ho risposto: «Non mi riferivo ai soldi. Mi riferivo soltanto al fatto che è un onore. Ne sono state concesse soltanto quindici in tutto il Paese. E io credo che sia un onore aver fatto qualcosa di così meritevole. Le chiedo scusa se le sono parso arrogante». E Nico mi sorrise e ciò era buono. Un buon segno.

E allora… come si riesce a far sì che la gente ti aiuti? Non si può arrivare in cima da soli. Qualcuno deve aiutarti. Io credo nel karma. Credo che si riceve ciò che si è dato. Si riesce a farsi aiutare dalla gente dicendo la verità, essendo onesti, porgendo le proprie scuse quando si commette un errore e focalizzandosi sugli altri, non su se stessi. Mi sono chiesto: in che modo posso esemplificare concretamente tutto ciò? [Si rivolge all’aiutante sul palcoscenico]. Abbiamo un esempio concreto che dimostri in che modo ci si deve focalizzare sul prossimo? [Si rivolge al pubblico].

Dovete sapere che ieri è stato il compleanno di mia moglie. Se c’è una sola volta nella quale uno dovrebbe avere il diritto di concentrare l’attenzione su di sé, potrebbe essere proprio “l’ultima conferenza”. Ma siccome mi fa star male sapere che mia moglie non ha avuto un vero compleanno, ho pensato che sarebbe molto carino se 500 persone le cantassero gli auguri [Fa il suo ingresso sul palco su un carrello una torta di compleanno gigantesca e il pubblico applaude].

Allora, tutti insieme, per favore: Tanti auguri a te, tanti auguri a te, tanti auguri cara Jay, tanti auguri a te! [Applausi]. [Jay sale sul palco, con gli occhi pieni di lacrime. Con Randy si avvicina alla torta]. Ecco, adesso devi spegnere le candeline. Silenzio, prego. [Jay spegne le candeline sulla torta. Parte un lungo applauso del pubblico].

E adesso, sappiate che avete un motivo in più per partecipare al ricevimento. [Risate].

Ricordate: i muri esistono affinché noi possiamo dimostrare quanto ci teniamo a superarli. Esistono per separarci dalle persone che non vogliono davvero vedere esauditi i loro desideri d’infanzia. Non cedete. L’oro migliore è quello che giace in fondo ai barili di merda.
[Diapositiva di Steve Seabolt accanto a una foto dei Sims]. [Risate]. Ciò che Steve non vi ha detto è che all’EA avevano un sabbatico fantastico. Ero lì da sole 48 ore, loro adoravano l’ETC, noi eravamo i migliori, i loro preferiti, ma poi uno mi tira in disparte per la manica e mi dice: «Sai, a proposito…stiamo per consegnare otto milioni di dollari all’USC affinché realizzi un programma identico al vostro. Noi ci auguriamo che tu possa aiutarli a decollare». [Risate]. A quel punto arriva Steve e mi chiede: «Che cosa hanno detto? Oh cielo!». E poi, citando un grande uomo: «Lascia che sistemi questa cosa». [Risate]. E lo ha fatto sul serio. Steve è stato un partner eccezionale. Abbiamo avuto una splendida amicizia, personale e professionale. Sicuramente lui è stato un uomo di punta nella grande impresa mirante a insegnare a milioni di giovani…sapete, di sicuro sarebbe stato logico se me ne fossi andato a sole 48 ore di distanza da quel sabbatico, ma non sarebbe stata la cosa giusta da fare. Quando si fa la cosa giusta, accadono un sacco di belle cose. Date retta al feedback delle vostre azioni. Il vostro feedback può essere quello stupido foglio di carta che io avevo predisposto per gli studenti oppure un uomo davvero in gamba che vi dice quello che avete bisogno di sentirvi dire. La cosa davvero difficile è saper ascoltare. A tutti capita di essere sgridati. Ma quella rara persona che ti dice: «Sai, avevi ragione!» invece di dirti. «No, aspetta, il vero motivo è che…». A tutti ci è capitato di sentire cose di questo tipo. Quando qualcuno vi dà la sua opinione, abbiatela cara e usatela.

Siate grati e dimostratelo. Quando sono passato di ruolo, ho portato tutto il mio team di ricercatori a Disneyland una settimana. Uno degli altri professori della Virginia University mi ha chiesto: «Ma come ti salta in testa una cosa del genere?», e io ho risposto: «Queste persone si sono fatte in quattro per farmi avere il miglior posto di lavoro al mondo della mia vita. Come potrei non farlo?».
Non lamentatevi. Lavorate più duramente.

[Mostra una diapositiva di Jackie Robinson, il primo giocatore di baseball di colore della serie A]. Questa è una foto di Jackie Robinson. Nel suo contratto c’era scritto espressamente che non avrebbe dovuto lamentarsi, neppure quando i fan gli avessero sputato in faccia.

Siate bravi in qualcosa: vi rende persone di valore.

Lavorate sodo. Io sono passato di ruolo un anno prima rispetto a quanto vi ha riferito Steve. I membri più giovani della facoltà mi dicevano: «Accidenti! Sei passato di ruolo presto. Qual è il tuo segreto?» E io rispondevo sempre: «È molto semplice. Chiamatemi nel mio ufficio, un venerdì sera qualsiasi, verso le 22, e ve lo spiego».

Trovate in ogni persona ciò che c’è in lei di meglio. Una delle cose che Jon Snoddy - come vi ho raccontato - mi aveva detto è la seguente: “Potresti dover aspettare a lungo, anche anni, ma alla fine la gente ti mostrerà sempre il suo lato migliore». Aspettate, non importa quanto ci vorrà. Nessuno è malvagio. Tutti hanno un lato buono, basta saper aspettare e prima o poi salterà fuori.
Siate pronti. La fortuna è quel momento in cui la preparazione incontra l’opportunità.

Concludendo, oggi vi ho parlato dei miei sogni d’infanzia, di come far sì che i sogni degli altri si realizzino, e di alcune delle lezioni imparate nel corso della vita.

Ma avete scoperto qual è la vera finta? [Pausa ad effetto].

Non è come realizzare i propri sogni, ma come vivere. Se vivrete nel modo giusto, il karma si prenderà cura di sé. I sogni verranno da voi.

E avete capito anche la seconda finta? Questo mio discorso non era per voi, ma per i miei figli.

Grazie a tutti, buonanotte.

[Applausi e standing ovation per 90 secondi. Randy porta Jay sul palco. Insieme si inchinano. Poi si siedono al loro posto. La standing ovation prosegue per un altro minuto]

Randy Bryant: Vi ringrazio tutti di essere qui. Questo ha significato molto, lo so, per Randy Pausch. Aveva la sua idea in merito, fino a ieri sera era convinto che in questa aula non ci sarebbe stato nessuno.

Sì, lo so. Io sono “l’altro Randy”. Questo è stato il mio ruolo sin da quando Randy Pausch dieci anni fa è entrato in facoltà. Questo significa che quando mi presento a qualcuno, e dico: “Sono Randy Bryant, di Informatica”, immancabilmente la persona alla quale mi sono presentato dice: «Ohhh, Randy di Informatica…quello che fa quelle cose meravigliose costruendo i mondi virtuali e insegnando programmazione ai bambini…». E io: «No, no, io sono l’altro Randy, quello sbagliato. Scusi, sa, io sono soltanto quello sfigato». [Risate].

Sono molto lieto oggi di essere in grado di elencare brevemente i molti modi con i quali vogliamo dimostrare a Randy tutta la nostra riconoscenza per il contributo che ha dato al Carnegie Mellon, al dipartimento di informatica e più in generale al mondo intero. Abbiamo pertanto un breve programma. Ci saranno alcune persone che chiamerò qui sul palco una alla volta. Fungo un po’ da MC qui…allora, il primo che vi presento è qualcuno che avete già incontrato, Steve Seabolt di Electronic Art. [Applausi].

Steve Seabolt: La mia famiglia si è chiesta se ce l’avrei fatta a introdurre questa serata. [La sua voce comincia a incrinarsi]. Ce l’ho fatta, ma potrei non farcela altrettanto bene adesso… Abbiate pazienza con me, vi prego.

Come Randy ha già detto, lui e io, Carnegie Mellon e Electronic Arts condividono una stessa passione: coltivare le giovani ragazze e cercare di incoraggiarle a lanciarsi nella matematica e nel campo scientifico.

Non tutti i fanatici di computer al mondo devono necessariamente essere maschi. Sapete, è soltanto uno strano scherzo del destino che ci siano così tante persone preoccupate per la delocalizzazione all’estero dei posti di lavoro e tante società costrette a questa pratica e sempre meno giovani che si dedicano all’informatica. Il numero delle donne che entrano in questo settore di studi continua a scendere inesorabile. Ci sono troppe poche Caitlin in questo mondo. Di Caitlin ce ne occorrono molte di più. Tenendo ciò bene in mente, l’Electronic Arts ha deciso di istituire un fondo per le borse di studio. Si tratta del fondo Randy Pausch per le borse di studio istituito nel 2007 da EA, in onore del contributo e della leadership di Randy a beneficio dell’istruzione, l’informatica, l’entertainment digitale e del suo impegno nei confronti delle donne nella tecnologia. Questa borsa di studio sarà assegnata ogni anno a una studentessa del CMU che dimostri eccellenza in informatica e passione per perseguire una carriera nell’ambito dei videogiochi. Randy, siamo davvero onorati di poterla intitolare a te. [Applausi].

Randy Bryant: Il prossimo che voglio chiamare sul palco è Jim Foley, della facoltà del Georgia Tech, che rappresenta inoltre l’ACM Special Interest Group in Computer Human Interaction. [Applausi]

Jim Foley: [fa segno a Randy Pausch di salire sul palco e lo abbraccia]. Questo è per Jim. [Applausi]. L’ACM, l’Association for Computing Machinery è un gruppo formato da centomila professionisti del settore informatico. Una delle loro aree di maggiore interesse è l’interazione uomo-computer. Alcune settimane fa un caro amico di Randy ha scritto una citazione sottoscritta poi da molte persone, arrivata al comitato esecutivo di SIGCHI, che a nome degli iscritti al SIGCHI, ha autorizzato questa presentazione speciale. La citazione è stata scritta da Ben Schneiderman e modificata poi da Jenny Preese e Ben Peterson, e quindi sottoscritta da moltissimi tuoi amici e adesso dal comitato esecutivo.

Permettetemi dunque di leggervi questa citazione: “Premio speciale per i contributi professionali. Il lavoro innovativo di Randy Pausch ha coperto varie discipline e ispirato sia ricercatori maturi sia una generazione di studenti. La sua profonda competenza tecnica, la sua scelta di progetti immaginari, il suo pensiero visionario si sono sempre combinati con energia e passione. Dai suoi primi lavori sul semplice strumento dell’interfaccia utente al suo attuale lavoro sul linguaggio di programmazione tridimensionale Alice, egli ha sempre dimostrato che un innovativo design degli strumenti consente una grande partecipazione nella programmazione, specialmente da parte delle donne e delle minoranze. Randy Pausch si è strenuamente impegnato per coinvolgere gli studenti di ogni livello in rigorosi progetti intellettuali, e la sua affascinante conferenza si presta a diventare un modello per ogni insegnante e ogni conferenza. Sì. Sì. Sì. [La voce si incrina]. Il suo lavoro ha contribuito a rendere più note e più rispettate le esperienze di progettazione di gruppo e la ricerca nell’ambito dell’informativa educativa. In qualità di National Science Foundation Presidential Young Investigator, Lilly Teaching Foundation Teaching Fellow, cofondatore del ET Center del CMU e consulente di Disney Imagineering e EA, Randy ha portato a compimento un lavoro da pioniere nel design dell’interfaccia informatica e delle esperienze ricche di emozioni. Per questi e molti altri suoi contributi, il consiglio esecutivo dell’ACM SIGCHI è orgoglioso di consegnare a Randy Pausch questo premio speciale per i suoi contribuiti professionali”. [Applausi].

Randy Pausch sale sul palcoscenico per ritirare il premio.

Randy Bryant: Grazie Jim. Adesso vorrei chiamare sul palco Jerry Cohen, presidente della Carnegie Mellon University. [Applausi].

Jerry Cohen: Grazie “altro Randy”. [Cerca di spostare la borsa di Randy Pausch a lato del podio]. Viaggi pesante, eh ragazzo? Molti di noi hanno riflettuto a lungo e discusso a lungo su come riconoscere in maniera duratura e adeguata in questo campus il contributo che tu le hai dato, ciò che tu hai significato per questa università. Molte persone sono coinvolte in tutto ciò. E tu che credevi che il rettore non prestasse attenzione! [Risate]

In effetti uno dei modi con i quali ti ricorderemo sono questo conto di 50.000 dollari per i peluche e altri 47.862,32 dollari per le pizze. Grandi contributi, grazie Randy, davvero! [Risate]

Una delle cose che purtroppo non possiamo fare è scoprire in che modo tenere qui con noi per sempre il tipo di persona che sei. La tua umanità, quello che hai voluto dire per noi come collega, come insegnante. Come studente e come amico. Non c’è modo di cogliere in pieno tutto ciò. Ma ci sono i nostri ricordi. Ed esiste un modo per ricordarti tutti i giorni, quando si attraversa il campus. E alla fine ho avuto un’idea. Tu hai fatto grandi cose per questo campus e per l’informatica e per il mondo. Sicuramente Alice vivrà a lungo. Ma ciò su cui ci concentreremo adesso è ciò che tu hai fatto per collegare l’informatica all’arte. È stato sbalorditivo, di tutto rilievo. Ha avuto un impatto enorme e credo che continuerà ad averlo oserei dire per sempre. Per riconoscere tutto ciò faremo quanto segue. Ottimo lavoro, “Altro Randy”. [Risate, mentre Randy Bryant prende il proiettore per inserire altre diapositive].

Per realizzare ciò, dobbiamo erigere un edificio. [Diapositiva di un modellino dell’edificio Gates]. Un edificio da cento milioni di dollari che ci consenta di fare quanto segue. Il Purnell Center for the Arts ospita la scuola di Arte drammatica. Quell’edificio moderno nuovo, con una metà del tetto verde, è il Gates Center for Computer Science. Da tempo progettavamo di collegare fisicamente questi due edifici, sia per consentire alle persone di scendere nella parte inferiore del campus, sia per la tremenda importanza simbolica che potrebbe avere. Bene, a nome del Consiglio di amministrazione della Carnegie Mellon e in nome dell’intera università, sono lieto di annunciare oggi che il ponte che collegherà questi due edifici sarà noto con il nome di Randy Pausch Memorial Footbridge. [La diapositiva mostra il modellino del ponte] [Applausi] Adesso, però, dopo quello che ci hai detto oggi in questa conferenza, staremmo pensando di mettere un muro di mattoni a ogni estremità, e di lasciare che gli studenti ne facciano quello che credono meglio. [Risate]

Randy, ci saranno generazioni di studenti e di docenti che verranno qui e non ti conosceranno, ma attraversando quel ponte vedranno il tuo nome e chiederanno a noi che ti abbiamo conosciuto chi eri. E noi risponderemo che purtroppo non hanno potuto conoscere l’uomo, ma sicuramente conosceranno e vivranno l’impatto di ciò che quell’uomo ha fatto. Randy, grazie di tutto quello che hai fatto per la Carnegie Mellon. Ci mancherai. [Applausi] [Randy sale sul palco e lo abbraccia].

Randy Bryant: Bene, ogni bello spettacolo ha bisogno di una degna conclusione. Per questo motivo invito a salire sul palco Andy Van Dam. [Applausi]

Andy Van Dam: Grazie, mi piace l’idea di aver l’ultima parola, ma essere qui alla fine di questo meraviglioso spettacolo, non so se è l’idea giusta. [Applausi] Ho iniziato a lavorare alla Brown nel 1965 ed è stato per me un grande piacere e una enorme gioia non soltanto insegnare a migliaia di studenti universitari e a qualche laureato, ma anche poter lavorare gomito a gomito con circa duecento di loro. Sono inoltre orgoglioso di poter affermare che 35 di loro hanno seguito i miei passi dedicandosi all’insegnamento.

Tra questi ultimi, è stato sempre chiaro che Randy spiccava più di altri. Ha dimostrato molto presto di poter essere promettente e di avere una passione per questo settore e di voler aiutare gli altri, proprio quella di cui ha dato prova ampiamente anche oggi. La sua passione è stata pari soltanto alla sua determinazione e alla sua tenacia, a fronte di tutti i muri di mattoni che si è trovato davanti. Ne avete sentito parlare molto e ne avete avuto la riprova da come sta combattendo questa terribile malattia. Come il piccolo dell’elefante (da un racconto omonimo di Rudyard Kipling, Ndt) tuttavia, era pieno di insaziabile curiosità, lo ricorderete. E come è capitato al piccolo dell’elefante, anche lui è stato sculacciato da tutti i suoi conoscenti, e anche di questo avete sentito parlare. Era impertinente e aveva un senso dell’umorismo irrefrenabile e turbolento, che lo ha portato a questo fantastico spettacolo odierno. Era molto sicuro di sé, al punto talvolta di essere sfacciato. Ed era anche testardo come un mulo. E lo dico io, che sono olandese, famoso per la mia testardaggine. Per dirla in modo più gentile, aveva una bussola interiore eccezionalmente forte, e lo avete potuto constatare più volte. Ora, essendo io stesso stato accusato per molte di queste caratteristiche, le considero più come peculiarità che come difetti. [Risate] Avendo dovuto imparare l’inglese a ogni costo, ho sempre avuto l’abitudine di esigere che gli studenti parlassero e scrivessero sin dall’inizio un inglese corretto. E Randy-il-chiacchierone non ha mai avuto problemi con questo. Ma un problema l’aveva. Un’altra delle mie fissazioni era quella di far sì che gli studenti americani si accostassero alle culture straniere, in particolare alla cultura culinaria degli altri Paesi, e più in particolare ancora a quella cinese. Così ogni tanto portavo i miei studenti in un meraviglioso ristorante cinese, dove preparavano piatti scelti da un menu in cinese. Ho cercato di convincere Randy a provare la cucina cinese…ma credete che il Signor-solo-pane-bianco abbia mai assaggiato quella roba? [Risate] Neanche per sogno. E, cosa ancora peggiore, si è rifiutato di imparare a usare le bacchette. All’epoca ero preside di facoltà e gli dissi che non l’avrei fatto laureare se non avesse imparato a mangiare con le bacchette. [Risate] Gli dissi: «È un obbligo, hai capito?». Naturalmente non mi credette. E quando venne il momento di laurearsi gli consegnai il suo diploma. Questa è la fotografia che hanno scattato i suoi amici [la diapositiva mostra la cerimonia di consegna dei diplomi della Brown University del 1982. Randy indossa tocco e toga, e dopo aver srotolato il suo diploma spalanca la bocca per la sorpresa]. Nella diapositiva potete vedere Randy che srotola il suo diploma per mostrarlo ai genitori. Ma invece del diploma, c’è una copia autografa del menu del ristorante cinese. [Risate e applausi]. Quella è stata una delle rare volte nelle quali ho avuto la meglio su di lui, lo confesso.

Siamo tutti qui riuniti oggi, tutti noi e centinaia e centinaia di altre persone in tutto il Paese e oserei dire nel mondo per prendere parte a questo grande evento che celebra te e tutta la tua vita. Randy è una brava persona, in Yiddish diciamo “Mensch”. I tuoi molteplici risultati di docente universitario modello, specialmente di mentore dei tuoi studenti, le tue spedizioni a Disneyland non soltanto uniche, ma leggendarie…Tu hai più che rispettato i termini previsti dalla Carta dell’Università Brown che sono: adempiere ai doveri della vita utilmente e con gloria. La tua totale dedizione alla famiglia e alla carriera è esemplare e continuerà invariata mentre sarai alle prese con l’immensa difficoltà della tua situazione. Tu esemplifichi il coraggio di chi non si lascia scoraggiare e lo stato di grazia di chi è messo sotto pressione. La pressione più terribile che si possa immaginare. Randy, sei stato e continuerai a essere un modello di comportamento per tutti noi. [La voce comincia a incrinarsi]. Grazie per tutto quello che hai fatto per noi e di averci permesso di dirti in privato e in modo così pubblico e ufficiale quanto ti ammiriamo, ti onoriamo e ti amiamo. [Applausi]

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