20/05/08

La sicurezza in Italia: I Rom

Nell’Italia della Mafia, della Ndrangheta, della Camorra e della Sacra corona unita, nell’Italia dei “tossici” e dei “balordi”, nell’Italia del tifo (non la malattia ma quello calcistico e quant’altro dello sport e oltre haimè!) e della “munnezza”, degli industriali truffaldini e degli evasori fiscali, nell’Italia del lavoro nero, extracomunitario e non, e dei prestanome e faccendieri e del falso in bilancio che non è più reato, dei politici corrotti e delle trame terroristiche che dopo trent’anni non vengono ancora svelate, nell’Italia dei servizi deviati e degli ubriachi, comunitari e non, che al volante fanno stragi, nell’Italia delle truffe e degli esami truccati all’università e dei concorsi anch’essi truccati, nell’Italia delle sette sataniche e della pedofilia e degli incarichi milionari dati agli “amici” con i soldi della collettività e di tanto e tant’altro, in questa nostra grande e “bella Italia” regno della “creatività e della fantasia” (quasi che tutti gli altri esseri umani non ne possano possedere neanche un bricciolo) appunto in questa nostra Italia anche o solo padana che si stà alzando anzi rialzando c’è un unico grande nemico il Rom, lo “zingaro”; quello che già quando eravamo piccoli - noi che siamo ormai alla terza età – ci si diceva “fai il buono ché sennò ti do agli Zingari”; e da grandicelli “mi raccomando non frequentare gli Zingari” perché sono sporchi, rubano, sono cattivi e soprattutto sono “poveri”.

E così per risolvere i problemi della sicurezza nel nostro “meraviglioso Paese” ci siamo subito precipitati a nominare i “commissari per i Rom”. E non ci si venga a dire che il nostro è il Paese dei commissari alle emergenze che non finiscono mai perché i commissari si preoccupano soprattutto dei loro lauti stipendi.

No, perché questa è finalmente la soluzione di tutti i nostri mali.

Che se poi siamo gli unici al mondo ad avere commissari per un intero “popolo” (perché che ci piaccia o meno quello Rom nelle pur più disparate etnie è un popolo) ma che c’importa? Siamo “italiani” appunto.

Israele non ha un commissario per i palestinesi e i palestinesi non hanno un commissario per gli israeliani, gli americani non hanno un commissario per gli indiani né le tante nazioni latine hanno un commissario per gli “Indios” ma noi avremo il “commissario per i Rom”.

Non so se ridere o piangere ma i fatti avvenuti a Napoli (senz’altro guidati dalla camorra) mi fanno davvero paura e mi portano la mente indietro nel tempo quando l’Italia anche dei “poeti e naviganti” quella degli “italiani brava gente” divenne d’un colpo razzista e xenofobia.

Ma non sarebbe assai più giusto dire che è giunta l’ora anche nel e per il nostro Paese che chiunque (per esempio tutti quelli di cui parlavo all’inizio del mio discorso) si macchi di un crimine, italiano, napoletano, padano o comunitario o extracomunitario debba comunque scontare la giusta pena? E non sarebbe più giusto rivedere le norme giuridiche riducendo a due i gradi di giudizio e già con una condanna in primo grado iniziare a scontare la pena che sarà sospesa solo dopo il positivo giudizio di secondo grado?

Ma ve li immaginate quanti criminali, politici corrotti e imprenditori truffaldini e … tanti anzi tutti quelli già nominati e tanti altri ancora sarebbero già in galera? E si fa presto a costruire carceri se non bastano.

E allora? No. Molto più facile trovare un colpevole per tutto e tutti. Un colpevole che possa pagare subito e senza fare tante storie. E chi meglio dei poveri (nel senso di povertà vera) e per giunta sporchi e ....cattivi perché i poveri sono sempre sporchi e cattivi e allora chi meglio dei Rom? Ma non quelli entrati della malavita organizzata che pure loro come … hanno soldi e avvocati. No.

Quelli più disgraziati appunto, quelli che non vogliono nemmeno i Rumeni (non Rom-eni) perché bisogna dargli le case e un lavoro che non vogliono e l’assistenza sanitaria e … perbacco costano troppo. Quelli dei campi nomadi “abusivi”.

E poi … rialzati Italia!!

18/05/08

Ancora sul caso Travaglio

Riprendo il mio articolo di qualche giorno fà ( http://pidario.blogspot.com/2008/05/che-brutta-la-vicenda-travaglio.html ) per fare ulteriori considerazioni sul caso Travaglio. Che il caso fosse “brutto” l’avevo già evidenziato ma non mi aspettavo che assumesse i toni che ha assunto. Sinceramente non capisco le ragioni di D’Avanzo che ha continuato, a mio avviso, dopo un articolo che poteva essere comprensibile (esagera Travaglio nelle sue considerazioni che più che giornalistiche a volte appaiono “opinioni” o quantomeno egli fa seguire a fatti non sempre chiari ed evidenti le sue opinioni…) a volerci spiegare dove “sbaglia” Travaglio.

Quello che lui voleva dire lo abbiamo ben compreso e io personalmente lo avevo anche sottolineato. Ma da qui allo scontro che nei giorni seguenti si è consumato ci passa eccome.

Ma si rende conto D’Avanzo che è in atto un tentativo di screditare tutta la stampa cosiddetta “non di regime” e quello che lui stesso dice? E se pensa di poterla fare in qualche modo franca si sbaglia e di grosso.

E’ dei giorni scorsi l’attacco di Castelli non solo a Travaglio ma anche a Stella e in definitiva a tutti quelli che parlano della mala politica (fatti ed opinioni non contano più) ripreso successivamente anche da una “valente parlamentare” del PDL di cui non ricordo il nome. E se tra quelli che della mala politica non hanno paura di parlare scoppia una guerra così intestina cosa potrà mai pensare l’opinione pubblica? Ma cosa importa ai cittadini se Travaglio avesse mai avuto pagato un soggiorno (cosa che non credo in alcun modo) e non serve a nulla dire che trattasi solo di un esempio. Forse Travaglio ricopre importanti cariche dello Stato?

Io stesso ebbi a dire nel mio precedente articolo che Travaglio alcune “battute” nel suo intervento in TV sul Presidente del Senato se le sarebbe potute risparmiare ma da qui a costruire tutta questa confusione ci passa e molto.

I cittadini hanno un urgente bisogno, e oggi più che mai, di una stampa che racconti fatti ed esprima opinioni sui fatti della politica e non d’altro…. e questo perché la Democrazia (mi si lasci passare l’esagerazione ma non troppo) continui a vivere in questo Paese.

14/05/08

Che brutta la vicenda “Travaglio”.

Tutti i politici se la prendono con lui; sia quelli di destra che quelli di sinistra ( e… certamente non solo per la vicenda in sé - i fatti prossimi ci diranno…- ma credo anche per molto altro). Con lui se la prendono anche tutta la stampa e le televisioni. Giuseppe D’Avanzo in un bell’articolo su Repubblica cui rinvio (http://www.repubblica.it/2008/05/sezioni/politica/insulti-schifani/lezione-schifani/lezione-schifani.html) piuttosto che sparare nel mucchio sceglie di fare una acuta riflessione definendolo “sincero con quel dice e insincero con chi lo ascolta. Dice quel che crede e bluffa sulla completezza dei "fatti" che dovrebbero sostenere le sue convinzioni. Non è giornalismo d'informazione, come si autocertifica. ma sommario e non in buona fede verso gli utenti. …. Queste "agenzie del risentimento" lavorano a un cattivo giornalismo. Ne fanno una malattia della democrazia e non una risorsa. …. trasformano in qualunquismo antipolitico una sana, urgente, necessaria critica alla classe politico-istituzionale. … Nel "caso Schifani" non si può stare dalla parte di nessuno degli antagonisti. Non con Travaglio che confonde le carte ed è insincero con i tanti che, in buona fede, gli concedono fiducia. Non con Schifani che, dalle inchieste del 2002, ha sempre preferito tacere sul quel suo passato sconsiderato. Non con chi - nell'opposizione - ha espresso al presidente del Senato solidarietà a scatola chiusa. Non con la Rai, incapace di definire e di far rispettare un metodo di lavoro che, nel rispetto dei doveri del servizio pubblico, incroci libertà e responsabilità. In questa storia, si può stare soltanto con i lettori/spettatori che meritano, a fronte delle miopie, opacità, errori, inadeguatezze della classe politica, un'informazione almeno esplicita nel metodo e trasparente nelle intenzioni”.

Se Travaglio voleva sollevare un “gran polverone” ci è molto ben riuscito. Peccato che questi polveroni in genere producono come effetto che le “libertà di stampa e quella di opinione” vengano ulteriormente ridotte o almeno così è stato sino ad oggi sia con la destra che con la sinistra.Perché tutti i politici, ogni volta che vengono in qualche modo toccati, reagiscono molto male. Certo per sentirsi toccati c’è bisogno che si usi un mezzo di forte diffusione come la televisione perché di quello che sui libri si scrive di loro sembrano proprio disinteressarsi. Ma vuoi che tra qualche centinaio di migliaia o un milione al massimo di (e)lettori e cinque o dieci e più milioni di (e)lettori non vi sia una differenza?

Una cosa che non capita mai in questo nostro Paese è che un politico si presenti a spiegare e chiarire pacatamente ed educatamente e con puntualità le ragioni del contendere ( per le quali magari più spesso è senza alcuna colpa) ai cittadini quasi che i cittadini non avessero proprio loro e per primi il diritto di sapere più di tutti.

E così tra un “Travaglio impertinente” e un “politico silente” come in qualche modo li definisce D’Avanzo il povero cittadino continua a mangiarsi la bile e a chiedersi: ma sarà poi vero? O no! E per aiutarci a questo punto la televisione cosa fa? Sostituisce il programma di informazione con un bel programma di intrattenimento. Perché nella nostra televisione di intrattenimento se ne vede così poco e che intrattenimento! e .. vissero tutti felici e scontenti….

Ah dimenticavo una cosa. Ma perché Fazio deve scusarsi con il Presidente della camera? Ma non è stato forse Travaglio a dire quello che ha detto? E Fazio si è subito dissociato (lo abbiamo sentito tutti). E poi Travaglio almeno la battuta sulla “muffa, i lombrichi e la penicillina” veramente stupida, banale e per nulla divertente se pure non offensiva ma certamente irriguardosa avrebbe potuto e dovuto risparmiarcela. E allora dicevo che c’entra Fazio? E perché in un servizio pubblico che si rivolge a tutti i cittadini ci devono essere cose che non si possono o debbono dire? Quelli che le dicono assumono in pieno la responsabilità di ciò che dicono e questo mi pare sufficiente per un pubblico maturo e adulto che sà senz’altro trarre una sua opinione. Se, come ci ha informato la stampa, Travaglio dovrà rispondere davanti al Magistrato sarà quella la giusta sede dove si renderà credibilità e giustizia e non servono i “politici giudici” che gridano allo scandalo e vivaddio nel 2008 ancora alla lesa maestà.

04/05/08

La violenza di gruppo

La violenza e ancor più i comportamenti violenti di gruppo dovrebbero essere perseguiti con assai minor indulgenza da qualunque parte vengano sia che siano extracomunitari o cittadini stranieri sia che siano giovani di destra o sinistra sia che siano ultrà degli stadi o altro.

Il comportamento violento di gruppo è più efferato dell’aggressione del singolo perché pone la vittima in condizione di non potersi in alcun modo difendere e non vale nulla a mio avviso il dire che non c’era la volontà di uccidere; prendere a calci in tanti una persona significa non avere alcun rispetto dell’altro non considerarlo un essere umano e che ciò comporti la morte o meno non ha alcun importanza.

E’ un grosso problema di ordine pubblico che merita più attenzione da parte di tutti e pene severe e rapide come haimè non accade spesso nel nostro paese. Chi non ricorda le tante gravi aggressioni di tifosi che finiscono sempre o quasi nel vuoto? O chi non ricorda anche le tante aggressioni diciamo “a sfondo politico” anch’esse troppo tollerate?

Il diritto di manifestare sia per vicende amene come gli eventi sportivi che per vicende politiche è un diritto sacrosanto in democrazie come la nostra e non deve essere mai messo in discussione ma proprio per questo tale diritto impone il dovere di rispettare le regole della democrazia e rispetto degli altri. E per hi trasgredisce non ci sono attenuanti che tengano.

Il declino degli stipendi

Bello articolo su “Repubblica economia” sui redditi da lavoro dipendente di Maurizio Ricci

(per chi avesse interesse può andare direttamente al sito del Bri banca dei regolamenti internazionali di Basilea: http://www.bis.org/ ed al sito del Mit: http://www.mit.edu/)

che riporto integralmente e dal quale si evince che forse la lotta di classe non più intesa secondo i vecchi schemi ma letta col linguaggio del nostro tempo è molto più attuale di quanto si pensi. E se è così, come in effetto è, quali i rimedi?

Repubblica ECONOMIA
Secondo uno studio della Bri è sempre più alta la quota di Pil che va ai profitti. Dagli anni Ottanta ad oggi salari schiacciati.

Il declino globale degli stipendi “in busta 5mila euro in meno l'anno”
MaurizioRicci


ROMA -
La lotta di classe? C'è stata e l'hanno stravinta i capitalisti. In Italia e negli altri Paesi industrializzati, gli ultimi 25 anni hanno visto la quota dei profitti sulla ricchezza nazionale salire a razzo, amputando quella dei salari, e arrivare a livelli impensabili ("insoliti", preferiscono dire gli economisti). Secondo un recente studio pubblicato dalla Bri, la Banca dei regolamenti internazionali, nel 1983, all'apogeo della Prima Repubblica, la quota del prodotto interno lordo italiano, intascata alla voce profitti, era pari al 23,12 per cento. Di converso, quella destinata ai lavoratori superava i tre quarti. Più o meno, la stessa situazione del 1960, prima del "miracolo economico". L'allargamento della fetta del capitale comincia subito dopo, nel 1985. Ma per il vero salto bisogna aspettare la metà degli anni '90: i profitti mangiano il 29 per cento della torta nel 1994, oltre il 31 per cento nel 1995. E la fetta dei padroni, grandi e piccoli, non si restringe più: raggiunge un massimo del 32,7 per cento nel 2001 e, nel 2005 era al 31,34 per cento del Pil, quasi un terzo. Ai lavoratori, quell'anno, è rimasto in tasca poco più del 68 per cento della ricchezza nazionale. Otto punti in meno, rispetto al 76 per cento di vent'anni prima. Una cifra enorme, uno scivolamento tettonico. Per capirci, l'8 per cento del Pil di oggi è uguale a 120 miliardi di euro. Se i rapporti di forza fra capitale e lavoro fossero ancora quelli di vent'anni fa, quei soldi sarebbero nelle tasche dei lavoratori, invece che dei capitalisti. Per i 23 milioni di lavoratori italiani, vorrebbero dire 5 mila 200 euro, in più, in media, all'anno, se consideriamo anche gli autonomi (professionisti, commercianti, artigiani) che, in realtà, stanno un po' di qui, un po' di là. Se consideriamo solo i 17 milioni di dipendenti, vuol dire 7 mila euro tonde in più, in busta paga. Altro che il taglio delle aliquote Irpef. Non è, però, un caso Italia. Il fenomeno investe l'intero mondo sviluppato. In Francia, rileva sempre lo studio della Bri, la fetta dei profitti sulla ricchezza nazionale è passata dal 24 per cento del 1983 al 33 per cento del 2005. Quote identiche per il Giappone. In Spagna dal 27 al 38 per cento. Anche nei paesi anglosassoni, dove il capitale è sempre stato ben remunerato, la quota dei profitti è a record storici. Dice Olivier Blanchard, economista al Mit, che i lavoratori hanno, di fatto, perduto quanto avevano guadagnato nel dopoguerra. Forse, bisogna andare anche più indietro, al capitalismo selvaggio del primo '900: come allora, in fondo, succede poi che il capitalismo troppo grasso di un secolo dopo arriva agli eccessi esplosi con la crisi finanziaria di questi mesi. Ma gli effetti sono, forse, destinati ad essere più profondi. C'è infatti questo smottamento nella redistribuzione delle risorse in Occidente dietro i colpi che sta perdendo la globalizzazione e il risorgere di tendenze protezionistiche: da Barack Obama e Hillary Clinton, fino a Nicolas Sarkozy e Giulio Tremonti. Sostiene, infatti, Stephen Roach, ex capo economista di una grande banca d'investimenti come Morgan Stanley, che la globalizzazione si sta rivelando come un gioco in cui non è vero che vincono tutti. Secondo la teoria dei vantaggi comparati di Ricardo, la globalizzazione doveva avvantaggiare i paesi emergenti e i loro lavoratori, grazie al boom delle loro esportazioni. E quelli dei paesi industrializzati, grazie all'importazione di prodotti a basso costo e alla produzione di prodotti più sofisticati. "E' una grande teoria - dice Roach - ma non funziona come previsto". Ai lavoratori cinesi è andata bene, ma quelli americani ed europei non hanno mai guadagnato così poco, rispetto alla ricchezza nazionale. Sono i capitalisti dei paesi sviluppati che fanno profitti record: pesa l'ingresso nell'economia mondiale di un miliardo e mezzo di lavoratori dei paesi emergenti, che ha quadruplicato la forza lavoro a disposizione del capitalismo globale, multinazionali in testa, riducendo il potere contrattuale dei lavoratori dei paesi sviluppati. Quanto basta per dirottare verso le casse delle aziende i benefici dei cospicui aumenti di produttività, realizzati in questi anni, lasciandone ai lavoratori le briciole. Inevitabile, secondo Roach, che tutto questo comporti una spinta protezionistica nell'opinione pubblica, a cui i politici si mostrano sempre più sensibili. Ma il ribaltone nella distribuzione della ricchezza in Occidente è, allora, un effetto della globalizzazione? Non proprio, e non del tutto. Secondo gli economisti del Fmi, nonostante che il boom del commercio mondiale eserciti una influenza sulla nuova ripartizione del Pil, l'elemento motore è, piuttosto, il progresso tecnologico. Su questa scia, Luci Ellis e Kathryn Smith, le autrici dello studio della Bri, osservano che il balzo verso l'alto dei profitti inizia a metà degli anni '80, prima che le correnti della globalizzazione acquistino forza. Inoltre, l'aumento della forza lavoro disponibile a livello mondiale interessa anzitutto l'industria manifatturiera, ma, osservano, non è qui - e neanche nei servizi alle imprese, l'altro terreno privilegiato dell'offshoring - che si è verificato il maggior scarto dei profitti. Il meccanismo in funzione, secondo lo studio, è un altro: il progresso tecnologico accelera il ricambio di macchinari, tecniche, organizzazioni, che scavalca sempre più facilmente i lavoratori e le loro competenze, riducendone la forza contrattuale. E' qui, probabilmente, che la legge di Ricardo, a cui faceva riferimento Roach, si è inceppata. Il meccanismo, avvertono Ellis e Smith, è tutt'altro che esaurito e, probabilmente, continuerà ad allargare il divario fra profitti e salari in Occidente. Dunque, è la dura legge dell'economia a giustificare il sacrificio dei lavoratori, davanti alla necessità di consentire al capitale di inseguire un progresso tecnologico mozzafiato? Neanche per idea. La crescita dei profitti, sottolinea lo studio della Bri, "non è stato un passaggio necessario per finanziare investimenti extra". Anzi "gli investimenti sono stati, negli ultimi anni, relativamente scarsi, rispetto ai profitti, in parecchi paesi". In altre parole "l'aumento della quota dei profitti non è stata la ricompensa per un deprezzamento accelerato del capitale, ma una pura redistribuzione di rendite economiche". La lotta di classe, appunto.
(3 maggio 2008)

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