29/08/07

La solitudine di Trentin

Il celeberrimo fotografo di piccoli scandali sentimentali o criminali, più importante di un dirigente politico sindacale come Bruno Trentin? E’ stato già fatto notare come la scomparsa del secondo abbia trovato nei mass media meno interesse delle peripezie del primo.

Ma certo Bruno Trentin nel corso della sua esistenza ha accumulato molti torti. Ha evitato metodicamente i salotti televisivi. Non si ricorda un suo battibecco sugli schermi, uno scambio di improperi immortalato in qualche talk show. Preferiva frequentare le piazze, i luoghi di lavoro, le riunioni, le conferenze. E oggi potrebbe apparire un uomo solo. Anche perché le sue idee non godevano, anche a sinistra, di entusiastici consensi. Come questa tesi (estratta dal suo ultimo libro “La libertà viene prima“): “La riconquista, in un rapporto con gli altri, di un dominio, parziale finchè si vuole, sul proprio lavoro, sul proprio tempo e, quindi, anche sulla propria vita complessiva: questo è il socialismo”.

Una solitudine rotta, in queste ore, da tanti riconoscimenti, tanti ricordi. Non alludo solo al mondo del lavoro. Alludo a studiosi come Norman Birnbaum che ha scritto una bella lettera a Guglielmo Epifani per ricordare il suo “ammirato” amico Trentin.

Anche in Internet fioriscono i ricordi. Tra i più belli quelli di uno che non appartiene, apparentemente al mondo di Trentin. E’ un disegnatore-sceneggiatore, Lorenzo Calza. Nel suo sito (www.scorpion.splinder.com) è apparsa questa testimonianza.

“Ti ho disegnato, tanti anni fa. Per la copertina di un opuscolo. La pipa, il volto austero, magnetico, con quegli occhi d' azzurro profondo. Eri un uomo bellissimo, forse il pià bello che abbia mai visto. Elegantissimo, forse il più elegante che abbia mai conosciuto. Dopo il seminario, ci siamo seduti a tavola. Sembravi schivo. Avevi una tua timidezza, che poi scoprii essere qualcosa di più. Qualcosa che ha a che fare con lo scrupolo, la capacità analitica di scomporre le cose prima di ricostruirle. Bertrand Russell l’avrebbe definita “reverenza”, capacità di essere lento nel giudizio e rapido nella comprensione. Ci volle un po' prima che aprissi quel tuo sorriso. Il segno che la sintonia era arrivata. Si parlò di tutto. Di mondo, di sindacato, di libri, di cinema e fumetti. Conoscevi Ken Parker. Avevi la passione per gli argentini. Munoz e Sampayo, soprattutto. Discutemmo di noir, di John Ford, di Karl Marx. E quando guardavi. Mamma mia, quando i tuoi occhi toccavano la persona oltre che l’argomento. Contenevano luce, carisma, serietà lieve, e quella che Bertrand Russell avrebbe definito una specie di tenerezza. Reperire notizie su di te è stato difficile. Su Google ci sono molte più foto di Fabrizio Corona che tue.
Ad un certo punto della cena mi bisbigliasti in un orecchio. Qualunque cosa succeda, qualsiasi viaggio intraprenderemo, qualunque trasformazione accada, io resterò sempre un marxista. Un vecchio comunista italiano. La considerai una frase-dono, forse capivi che avrei raccolto.

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